16 maggio 2004. Leo se ne stava sbracato sul divano a guardare la Domenica Sportiva. Da quel giorno la domenica sarebbe stata un po’ meno domenica: Roberto Baggio, il Divid Codino, aveva appena appeso le scarpe chiodo. Il più grande fantasista della storia del calcio italiano era uscito dal prato di S.Siro accompagnato da una standing ovation da brividi: era un #10 amato da tutti.
Un pizzico di tristezza mista ad ammirazione, si mischiò all’ansia che ormai lo attanagliava da giorni. Era un professore di storia dell’arte e l’indomani, davanti a visi sconosciuti pronti a giudicarlo, avrebbe dovuto sostenere la sua prima lezione da supplente. Per lui era un po’ come battere un rigore decisivo sotto la curva avversaria.
Quella sera i pensieri di Leo erano un orologio a pendolo: come avrebbe rotto il ghiaccio con la classe? Ci sarebbe stato un altro Roberto Baggio?
Non ci sarebbe stato, ne era certo, perché i veri artisti non hanno eguali.
Non c’era stato più nessuno come Michel Platini. Le Roi scrisse un pezzo di storia della Juve, vinse tre volte il Pallone d’Oro negli anni ’80 e abbandonò il palcoscenico a soli 32 anni, perché il tocco dell’artista è sapere quando fermarsi.
Non c’era stato più nessuno come Gianni Rivera, il più grande assistman della storia, il fantasista del Milan di Nereo rocco, il Golden Boy, il primo calciatore italiano a vincere il Pallone d’Oro (1969), il “palla da una parte e Sepp Maier dall’altra” nella partita del secolo.
Non c’era stato più nessuno come Johan Cruyff, il Pelè bianco, il Profeta del gol, il simbolo del calcio totale di Michels. L’olandese univa una tecnica sopraffina a una velocità di gioco mai vista prima, aveva un dribbling (de Cruyff dreej) fulmineo e una visione di gioco da grande regista. Era un instancabile corridore, un goleador, un trequartista; nella sua grande Ajax giocava con il 14, ma incarnava quel genio che appartiene soltanto ai #10.
Non c’era stato più nessuno come Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè. Considerato da molti il più grande di sempre, la Perla Nera è stato l’unico calciatore ad aver vinto tre Mondiali. Segnò alla Svezia del trio Gre-No-Li nella finale di Stoccolma del ’58: aveva 17 anni e mezzo e indossava la 10 verdeoro. Era un mostro di velocità, potenza, coordinazione e intelligenza e nella sua carriera ha realizzato 1281 gol. Pelè è stato e continua ad essere il calcio.
Leo spense la tv ripensando a tutti quegli esteti del calcio. D’improvviso un’idea geniale, da autentico #10, gli venne in mente per il suo primo giorno di supplenza. Prese un vecchio mangianastri, accese il computer, andò su YouTube e registrò in una cassetta quella che sarebbe stata la sua lezione.
Il giorno seguente si presentò in classe, fece l’appello e pigiò il tasto play.
“Ahi la tiene Maradona. Le marcan dos. Pisa la pelota Maradona. Arranca por la derecha el genio del futbol mundial y deja el tercero y va a tocar para Burruchaga…siempre Maradona, genio, genio, genio…ta-ta-ta-ta-ta-ta…goooool, goooool…quiero llorar, Dios santo, viva el futbol. Golazoooo! Diegooool! Maradona! Es para llorar, perdonenme. Maradona, es una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos.”
Stop.
Qualcuno sorrise, qualcun’altro rimase meravigliato.
Il più spigliato disse:”Prof, ma questo è il gol di Maradona contro l’Inghilterra!”
“Esattamente. E Victor Hugo Morales vi ha appena descritto quella che secondo me resta la più grande opera d’arte del XX secolo.”