Nello spogliatoio calava un silenzio surreale ogni volta che il mister afferrava le maglie, in ordine dall’1 all’11, per distribuirle. Tutti desideravano essere titolari, perché restare in panchina a 11 anni è un po’ come assistere al proprio funerale, specie se la partita in questione è la finale del più prestigioso torneo giovanile della contea di Glamorgan.
Wilson fissava gli scarpini per distogliere lo sguardo da quell’omaccione che aveva quel modo poco simpatico di dire la formazione. Era un’ala sinistra promettente, magrolino, non molto alto e giocava quasi sempre con la #11, l’ultima maglia ad essere consegnata. Ricevere le successive significava starsene seduti a guardare.

A quei tempi Wilson, come molti altri ragazzini del Regno Unito, sognava di diventare il nuovo George Best. Il genio di Belfast non era stato propriamente un’ala sinistra; con quel talento ridondante era solito svariare sul tutto il fronte d’attacco dribblando i difensori a gran velocità come se volesse scappar via da quel suo animo tormentato. Il giovane Wilson se ne innamorò il giorno in cui suo zio, tifoso del Manchester United, gli fece vedere la replica dei quarti di finale di Coppa dei Campioni, contro il Benfica di Eusebio. Era il 1966, Best aveva vent’anni, segnò due dei cinque gol dei Red Devils e fece letteralmente impazzire i portoghesi. Era un ragazzo di una sensibilità enorme che viveva come giocava: a mille all’ora in equilibrio sopra la fantasia.

A Wilson, ragazzino taciturno e insicuro, l’ansia lo stava divorando: voleva sentire le cuciture di quell’11 sulla schiena. Voleva sfrecciare sulla fascia a velocità incontenibile come lo spagnolo Francisco Gento, la ‘Galerna del Cantàbrico’ (vento della regione dove nacque), formidabile ala sinistra del Real Madrid vincitore di ben 6 Coppe dei Campioni.
Voleva tirare in porta come Mariolino Corso, il piede sinistro di Dio, che indirizzava le punizioni all’incrocio col quel suo leggendario modo a ‘foglia morta’.

Il mister lasciò cadere una maglia sopra la testa di Wilson che stava fingendo di allacciarsi gli scarpini. Era la tanto agognata #11: una sensazione di benessere lo invase. Ascoltò le ultime raccomandazioni, indossò la maglia e seguì i suoi compagni fuori dallo spogliatoio. Prima di entrare nel terreno di gioco sollevò lo sguardo verso le gradinate. Suo padre, col quale non aveva un ottimo rapporto, non era venuto. Si fece coraggio e strinse il polsino della maglietta come era solito fare il suo idolo Best quando si involava verso l’area avversaria.
Da lì a qualche anno il piccolo Wilson avrebbe cambiato cognome e nazionalità scegliendo quelli della madre. Il 29 novembre del 1990, il giorno del suo diciassettesimo compleanno avrebbe debuttato al Teatro dei Sogni con la maglia del Manchester United.
Ryan Joseph Wilson sarebbe diventato Ryan Joseph Giggs.