Il sabato saltellante dei vagabondi da bar era giunto al suo epilogo. Il paesino si stava svuotando; c’era chi scendeva in città a caccia di altra baldoria, chi si ritirava in casa per trovare un po’ di quiete. Quella sera Leo non seguì la sua ciurma, non voleva saperne nulla di quella fiumana di motorini diretta a valle a tirar tardi. Quando era triste non si mescolava mai alla folla. Era affranto per aver perso la partita di campionato; gli sfrecciava ancora davanti agli occhi l’immagine del centravanti che esultava per il goal della vittoria. Leo, sedicenne, stopper col #5 sulle spalle, se l’era lasciato sfuggire. Il calcio è come la vita che ti scivola tra le mani quando pensi che ormai l’hai fatta tua. Basta un niente, un istante, un’indecisione per scoprire quanta desolazione può nascondere il prato verde.
S’incamminò verso casa. A capo chino calpestava la sua ombra come fosse quel numero 9; sentiva ancora addosso gli sguardi di rimprovero dei compagni. Leo, ragazzo alto e robusto, aveva la faccia d’angelo e i piedi a martello come il grande Rosato. Ma lui, il Gerd Muller della situazione non era riuscito a fermarlo. Dov’era finita tutta quella cattiveria? Perché non gli aveva lasciato il segno dei tacchetti sulle tibie?
“Da oggi niente scrupoli” pensò, “non posso giocare da stopper e non picchiare. E’ contro natura!”.
Doveva essere feroce come lo zar Pietro Vierchowood che s’attaccava all’uomo e mordeva le caviglie, spietato come Jurgen Kohler che non esitò un solo istante davanti alla classe sopraffina di Van Basten. Erano stopper ‘di mestiere’, giocatori tenaci e duri, gente capace di tutto pur di lasciare il numero 9 a bocca asciutta.
Per non soccombere sotto i colpi del centravanti non c’era scelta. Per spendere una vita a difesa della propria porta c’è bisogno di carattere, concentrazione e dedizione: a Leo queste cose non mancavano. Era abile anche nel gioco aereo ma il sogno di essere Guarneri e trovare uno Jascin, era rimasto tale. Meglio non fantasticare. Lo stopper doveva restare aggrappato alla realtà seguendo alla lettera il comandamento del grande Nereo Rocco: “A tuto quel che se movi su l’erba, daghe. Se xe ‘l balon, no importa”.
Leo distolse lo sguardo dalla sua ombra. Era arrivato a casa. Abitava nella via intitolata allo stopper del Grande Torino, Mario Rigamonti. Coincidenze. Peccato che il numero civico fosse il 9. Scherzi del destino.