Che il calcio di casa nostra fosse alla deriva, annessa la Serie A e tutto il cucuzzaro, era chiaro da tempo, non solo in questa domenica di Pasqua. Dai primi anni 2000, quando i campioni decidevano di abbandonare l’Italia, per emigrare in Inghilterra, Spagna e Germania, i mugugni iniziavano a serpeggiare tra i vertici del nostro calcio che, in seguito, non facevano altro che tranquillizzare, a parole, gli addetti ai lavori, ignari di quello che sarebbe accaduto in seguito.
Ci spieghiamo, se in precedenza la Serie A era considerata il campionato più bello del mondo, in questi ultimi anni è paragonato a un quadro, di un valore inestimabile, che sta per essere venduto per pochi spiccioli a un collezionista di schede telefoniche. Secondo il “Report Calcio 2014”, stilato dalla Figc, durante le finestre di calciomercato si registrano tanti trasferimenti, forse troppi, che non annoverano però fuoriclasse in grado di fare la differenza nelle partite di Champions ed Europa League, insomma quelle europee.
Risultati alla mano, nessuno, o quasi, dei calciatori che si trasferiscono nel “Bel Paese”, può avvalersi della laurea di elemento decisivo al dì fuori dei confini italiani. Un esempio? Dopo tre anni, la Juventus è l’unica squadra di Serie A in grado di disputare una semifinale di una competizione continentale, in questo caso l’Europa League. Un risultato positivo, senza dubbio, ma che arriva dopo figure indecorose contro compagini non minimamente paragonabili alle nostre, almeno guardando i valori tecnici, fatturato e altro.
Se il via-vai di calciatori aumenta, stessa cosa si può certo dire anche per i debiti riguardanti la Serie A. Sempre secondo lo studio redatto dal Centro Studi Sviluppo ed iniziative speciali della Figc , si attesta a 2.947 miliardi di euro il passivo relativo al campionato 2012/13. La perdita netta è arrivata a 202 milioni (contro i 280 degli anni scorsi), mentre, a differenza degli altri elementi statistici, cala la presenza degli spettatori negli impianti sportivi, con 900.000 sostenitori in meno rispetto ai tornei passati. Stadi ridotti in cantieri, obsoleti e privi di estetica, sono la causa di quest’ultimo dato che, rapportato a quello della Premier League, Bundesliga e Liga, assume le sembianze di un anziano, incapace di sfidare una banda di ragazzini nel torneo di calcetto dell’oratorio.
“Certamente, nel nostro mondo, c’è qualche problema, ma siamo pur sempre un aiuto per il Paese”. Questo il laconico commento del Presidente della Figc, Giancarlo Abete, che precede le dichiarazioni del numero uno del Coni, Giovanni Malagò: “I ricavi dello stadio raggiungono l’8%? Un dato deprecabile, tra un po’ si arriva allo zero”. Frasi indicative di due delle più importanti cariche nello sport in Italia. Il quesito, però, sorge spontaneo: l’allarme era già stato lanciato anni fa, dunque perché si è arrivati a questo punto di non ritorno? E intanto la Serie A piange insieme alle altre categorie…