“Il nostro campionato è ormai una colonia di stranieri. Dovremmo far posto a più talenti italiani, altrimenti mi sembra normale che lo spettacolo in campo non sia eccelso” – cosi parlò l’ex ct della Nazionale Arrigo Sacchi, a proposito della finale del Torneo di Viareggio tra Inter e Verona. Al centro del dibattito, ancora una volta, la scarsa competitività del nostro campionato, dovuta ad una massiccia presenza di stranieri. E la Beneamata – tanto nella formazione primavera come nella prima squadra – vanta assieme al Manchester City il primato negativo a proposito del numero di giocatori locali: appena 4, peggio persino di Chelsea (5 inglesi) e Napoli (6 italiani).

Ma è davvero l’eccessiva presenza di stranieri a determinare la qualità di un torneo? Non sempre, e molto in generale dipende dal valore di quelli che approdano. Una politica che nel recente passato ha fatto le fortune di squadre come Real Madrid, Chelsea, Psg, Manchester City e la stessa Inter, tanto in casa quanto in Europa. Ma gli ultimi risultati poco lusinghieri nelle coppe di molteplici squadre del Belpaese e della Terra d’Albione hanno riportato in auge la questione. Una crisi – si ripete spesso – di talenti, e che tende ad incidere anche sulle deludenti prestazioni delle rispettive Nazionali alla maggior parte delle ultime rassegne iridate (Europei e Mondiali). Con il centro della scena dunque rubato dalle sempre più emergenti Spagna (che non è più solo Real e Barcellona), Germania e soprattutto Francia, con la sua Ligue 1 che tende ad avvicinarsi sempre più verso i vertici del Ranking UEFA.

E’ sempre la Premier League a registrare in Europa sia il numero più basso di giocatori locali (appena 200), che il più alto di stranieri (354), facendo persino peggio della penultima Serie A (257 a 305). Tutta un altra musica rispetto alla Liga (309 spagnoli e 203 stranieri), che pur avendo squadre milionarie come blancos e blaugrana, fa della cantera il suo punto di forza: un valore aggiunto che permette anche ai club di media fascia di poter competere ad alti livelli in Europa. Si pensi al Siviglia attuale detentore dell’Europa League o addirittura all’Athletic Bilbao, finalista della medesima competizione nel 2012. Quest’ultimo un caso storicamente eclatante, con un solo ‘straniero’ in squadra (il difensore Aymeric Laporte, che però è nato e cresciuto in una regione basca della Francia) a fronte di ben 29 baschi spagnoli. Una tradizione secolare e più viva che mai dalle parti del San Mames. Tuttavia, una felice eccezione in Inghilterra è al momento rappresentata dal Burnley, squadra composta da soli effettivi britannici (16 dei quali inglesi). Realtà distanti dall’italiana Sassuolo (ben 22 italiani a fronte di soli 5 stranieri).

Quale, invece, la situazione in Francia e Germania? I primi vantano ben 13 formazioni a maggioranza transalpina, con il Lione in testa (23 francesi). Un dato che comunque va a scontrarsi con alcune forti legioni straniere (Tolosa 19, Montpellier e Bordeaux 18, Rennes 17). I tedeschi invece vantano, assieme alla Liga, il numero più alto di squadre a maggioranza locale (ben 13), che fa sorridere se ancora una volta paragonato ad inglesi (appena 2) ed Italiani (soltanto 8 contro le 12 a maggioranza straniera). Ma non è tutto: perchè se il Paderborn è la terza squadra europea per il maggior numero di locali in squadra (23, come l’OL), il Borussia Dortmund è quella che registra il numero più basso di stranieri (soltanto 4). Al contrario, la Lazio, vanta nel suo organico ben 24 stranieri. E’ il dato più alto d’Europa.

Tutti dati vistosi, che in un primo momento tenderebbero superficialmente nell’individuare proprio nel surplus di stranieri la principale causa di declino. Un paradosso rispetto a quanto accadde nei primi anni ’80, dove fu proprio la riapertura delle frontiere a ridare nuova linfa al nostro calcio. Quella dell’epoca era però un’apertura agli stranieri supportata anche da una solida organizzazione dei settori giovanili. Un periodo storico che vide porre le basi di molti di quelli che furono, ad esempio, i protagonisti in Nazionale degli anni ’90: Maldini, Vialli, Baggio e Tassotti potrebbero essere in tal senso gli esempi più celebri.

Laddove non sia possibile competere coi soldi, sarebbe dunque meglio piuttosto sviluppare idee. E pensare con lungimiranza, nel medio -lungo termine. Come ci hanno recentemente insegnato squadre come Atletico Madrid o Borussia Dortmund. Che di talenti ne hanno, e di tutte le nazionalità. Ma questo calcio sembra essere sempre più lo specchio di quello che è il nostro paese. Un vecchio addormentato.