Tra la perfetta orchestra degli Spurs e lo strapotere di LeBron, tra la classe (seppur attualmente ai box) di Kevin Durant e l’immortalità di Kobe Bryant: c’è un nuovo (ma mica tanto) dominatore dell’NBA. È Stephen Curry, che incanta silenziosamente ma che presto potrebbe cominciare a far tanto rumore.
13 vinte e 2 perse, 8 vittorie consecutive: sono i numeri di inizio stagione dei Golden State Warriors, di cui Steph è il leader spirituale (e presto capirete perché) e in campo: 26 punti nell’ultima vittoria, quella di Charlotte. Una prestazione addirittura un po’ sottotono: e se ci si può permettere di definire sottotono una prestazione da 26 punti, vuol dire che il #30 ci ha abituati davvero bene. Era reduce infatti dai 28 contro Orlando e soprattutto dal quarantello rifilato a Miami con 8 su 11 da 3: Curry è il principale artefice dell’avvio da record dei suoi Warriors, dietro ad Ovest soltanto ai Memphis Grizzlies che però hanno giocato una partita in più.
Il nativo di Akron è un cecchino: LeBron disse di lui: “È uno dei migliori realizzatori di sempre che vedremo in NBA: inutile provare a fermarlo, puoi solo sperare che sbagli”. Ma guai a ridurre Stephen Curry a uno straordinario tiratore. Genio è forse la parola più appropriata, perché i geni sono quelle persone che dal nulla trovano una soluzione: un nulla però apparente, perché in realtà nella loro mente tutto era chiaro già da prima. Sto descrivendo un assist di Stephen Curry, e se non l’avevate capito state tranquilli: a volte non lo capiscono nemmeno i suoi compagni. Per questo il suo tallone d’achille sono da sempre le palle perse, i turnover: non solo quelle banalmente rubate da un avversario, ma anche quelle frutto di scelte sbagliate, di violazioni e infrazioni. Da qui la scommessa con la mamma, arrabbiata quando i turnover diventavano troppi: “Mi ha detto che avrei dovuto pagarla se avessi esagerato”. Scommessa vinta però, perché Steph ha diminuito la percentuale: 3.8 per gara. Almeno questi gli si possono concedere, con tanto di ringraziamento dei tifosi alla mamma.
La mamma, persona fondamentale per la sua crescita, così come tutta la famiglia. Curry, classe ’88, è figlio d’arte (Dell Curry ha militato in diverse squadre NBA) ed è cresciuto guardando il papà e non solo lui: basta guardare queste bellissime foto per capire chi abbia ispirato la tecnica di quel rilascio celestiale e di quei tiri “ad arcobaleno”: quel signore bianco è il mai dimenticato Drazen Petrovic.
Non per niente con oltre 1700 punti è il miglior marcatore di tutti i tempi della High School che ha frequentato, la Charlotte Christian School. E qualche anno dopo al Madison Square Garden di NY, mica un posto qualsiasi, stabilirà il suo massimo di punti in una partita NBA: 54.
E a proposito di Christian School: la fede è la costante nella vita di Stephen Curry. “So da dove viene il mio talento, da Dio. E io non gioco a basket per fare 30 punti a partita, ma per esserne testimone e condividere la testimonianza. Amo indirizzare la gente verso colui che è morto sulla croce per i nostri peccati: è grazie a lui che c’è un posto in paradiso che ci aspetta. E questa consapevolezza vale molto più di un trofeo.” Leader spirituale. Capite adesso? Steph è “il figlio che tutti vorrebbero avere”, ha 26 anni ed è sposato già da 2 e mezzo con Ayesha, la ragazza della porta accanto, che ha incontrato in chiesa quando erano due adolescenti e a cui ha chiesto di sposarlo nello stesso posto in cui si erano dati il primo bacio. Hanno una figlia di 18 mesi, Riley: papà Steph le ha dedicato una canzone che ha fatto piangere di gioia Ayesha. “Riley è l’espressione più grande del nostro amore e quando la guardo brillo di orgoglio”: iniziava più o meno così e in inglese faceva pure rima.
Non solo amore però. Grazie alla fede Curry ha imparato anche la perseveranza, la stessa per la quale non molla se sbaglia 7 tiri su 8 in un primo quarto per poi finire quella partita come miglior realizzatore, la stessa che lo ha fatto tornare più forte di prima dopo l’infortunio alla caviglia che nella stagione 2011/12 gli fece saltare 40 partite; la stessa, chissà, che forse un giorno gli farà mettere un anello al dito.
E non stiamo parlando di una fede nuziale…