È il 1740, pensate. Quasi 300 anni fa. E un signore, chiamato Jose Joaquin de Viana, una figura politica di origine spagnola di spiccate doti militari ed estremamente pragmatico sul campo, è in Italia a combattere per la guerra di secessione austriaca che durerà otto anni. È lì che intraprende una carriera ricca di successi di tutto rispetto in ambito militare. Diventa governatore di Montevideo grazie al re di Spagna, Ferdinando VI. La sua nomina, per giunta, è propedeutica ad un alleggerimento dei rapporti con il Portogallo per le continue lotte sui confini delle Americhe, le cui nuove linee sarebbero tracciate solamente qualche anno più tardi. Le stesse Spagna e Portogallo si ritroveranno in sinergia, poi, quando si tratterà di fronteggiare i ribelli indiani, resi ancora schiavi degli agricoltori portoghesi. Si necessitava di lavoro sui campi e i sudditi indigeni provarono a rialzarsi in un conflitto biennale, spezzato dallo strapotere di Viana che uccise il promotore della rivolta. Viana se ne tornò in Uruguay e fondò una città, che resterà storica per aver concesso dei natali importanti: Salto.
UN BAMBINO SPECIALE – A Salto, a parte Cavani che tutti conoscete e il noto scrittore Horacio Quiroga, dalla personalità particolare ed estasiato da tutto ciò che concernesse amore e morte con sfondo selvaggio – e qui è tutto riassunto il personaggio – nasce nel 1987 un bambino speciale. Un innamorato del pallone e di quel fantastico gioco che è il calcio. È un ragazzo sicuramente dotato di grande tecnica ed armato di un tiro raffinato, sin da piccolo. Ma è un tipo controverso, outlaws: fuorilegge. E infatti a 15 anni, non d’accordo con una decisione arbitrale, esprime tutto il suo disappunto con una testata al direttore di gara. Se il buongiorno si vede dal mattino, immaginate che tipo di “fenomeno” ci troveremo davanti qualche anno dopo. Di anni ne passano tre quando, mentre gioca per il Nacional, viene inviato allo stadio un gruppo di osservatori del Gronigen pronti a visionare un suo compagno di squadra. Il ragazzo, che si chiama Luis, gioca da Dio e strappa decisamente la scena al suo amico di Montevideo. Il club di Groninga non ha esitazioni: “Lo prendiamo”. E volontà sia fatta. Impara presto l’olandese, si adatta subito alla nuova concezione calcistica e segna reti come se fosse la cosa più facile del mondo. Al che, dopo neanche un anno, si stanca della debole dimensione del club e decide di andar via. Lo segue l’Ajax, una delle big del torneo. L’offerta è troppo bassa, la sua società rifiuta e lui – su tutte le furie – va in tribunale. Alla fine lo accontentano e per quasi 8 milioni di euro se ne va ad Amsterdam. La città della libertà e della trasgressione. È il posto che più si sposa con le caratteristiche di questo ragazzo che diventa uomo. Con tanti tanti errori extra-sportivi. Lui segna 49 gol in 48 partite (e tra le altre cose perdono anche il titolo), resta l’anno successivo e prende a morsi in una partita Bakkal del Psv Eindhoven. Risultato: sette turni di squalifica. Mentre è appiedato dal giudice sportivo, lui pensa bene di accordarsi con il Liverpool per una cifra di poco superiore ai 25 milioni di euro e di dire addio al paese dei tulipani.
Ma l’Inghilterra è altro mondo. Altra cultura calcistica. Tecnicamente non si discute, ma l’occhio del ciclone inizia ad assumere Luis come dipendente fisso. Il primo anno quasi si ridimensiona, ma più che per i gol è adocchiato per gli insulti razzisti rivolti ad Evra. Che in Inghilterra gli costano altre otto giornate. I tabloid lo massacrano, questo ragazzone uruguaiano non è simpatico a nessuno. Forse neanche ai suoi compagni di squadra, che dopo il prezioso gol del pareggio realizzato al Chelsea tornano a metà campo mentre lui, quasi deluso, va ad esultare tutto solo sulla bandierina del corner. Un declino pazzesco. Da stella indiscussa, strapagata, a fenomeno triste. Forte e decisivo, ma solo. In un Liverpool che fa tutt’altro che bene, tra le altre cose. Incontrerà di nuovo Evra e non gli stringerà la mano. Altre polemiche piovono incessantemente sul talento di Anfiel Road che questa volta l’ha fatta davvero grossa.
HANNIBAL E LA REDENZIONE– Nel 2013 anche le manie di cannibalismo tornano d’attualità. Prende a morsi un difensore del Chelsea, Ivanovic, e si becca altre dieci giornate di squalifica. Sembra uno scherzo, ma questo signore qui – in tre sanzioni gravi ricevute in carriera – può contare venticinque giornate di stop. Tre quarti di un campionato. Gli striglia anche Rodgers, che sembra non digerirlo più. “In estate parte, va via di qui”, si vocifera lungo le gradinate della Kop. Ma tutti, in fondo, meritano una seconda possibilità. E questo controverso gioiellino fa marcia indietro, compie un’opera di redenzione e cambia tutto di se stesso. Matura. Finalmente. Medita tanto durante il periodo di squalifica (che si protrae anche per le prime sei giornate del campionato successivo) e nonostante questo è un uomo cambiato. Non accetta più provocazioni. A quelle risponde con i gol. E a fine anno saranno 31, come Shearer e Cristiano Ronaldo. Ma con una corposa squalifica in più di loro, è riuscito nell’impresa. Non è riuscito in quella di vincere il titolo, sfumato ai titoli di coda. Con le lacrime agli occhi. Come quelle che con la sua Nazionale versò nel 2010, ai Mondiali, contro il Ghana. 1-1 il punteggio in Sudafrica, chi vince va in Semifinale. Siamo al 120′, c’è un colpo di testa dei ghanesi che sta per entrare in rete. Lui si finge portiere e con i pugni spazza. Rosso diretto e rigore per gli africani. Ma il pianto diventa gioia, perché Gyan prende la traversa e la Celeste vince ai rigori. Poi lui è squalificato e perdono per 2-3 l’accesso alla finale. In Nazionale segna a grappoli e anche oggi ha ridato speranza al suo Uruguay. Veniva da un infortunio e con una doppietta ha sbattuto fuori gli inglesi e adesso sogna. Ah, dimenticavamo. Qualora non ve ne foste accorti, lui non è solo Luis. Lui è Suarez, “El Pistolero” che ha incantato l’Europa tra genio e sregolatezza. E tra i cinque attaccanti più forti del mondo, lui c’è. Luis c’è.