La Juventus vince il suo quarto scudetto consecutivo e per il quarto anno un dubbio si presenta inesorabile, scatenando discussioni e risse da bar: “Ma quanti sono gli scudetti della Juventus?”. Una domanda sulla carta banale, ma nella pratica tutt’altro che superficiale. Una situazione babeliana in cui stampa, dirigenti, tifosi e calciatori credono quasi sempre giustamente di poter dire la propria, ma in cui a non parlare o a non prendere provvedimenti, è proprio chi il potere per farlo lo avrebbe.

Perché se da una parte c’è chi dice che gli scudetti bianconeri sono 31 (sentenze e prescrizioni alla mano), dall’altra c’è chi, fregandosene di quanto promulgato da più di una sentenza giuridica afferma che gli scudetti siano 33. I meno razionali non faticherebbero ad individuare la causa principale della vicenda nella strafottenza di chi dirige la squadra bianconera, che fino ad oggi, spinto da una verve da tifoso comune nulla ha fatto per cercare di rispettare le sentenze. Ma la vera causa non risiede nel non rispetto di una sentenza da parte di una squadra, bensì nell’omertà di chi in questi casi dovrebbe prendere provvedimenti e cioè nella lega di Serie A.

La crociata del don Chisciotte bianconero risale all’anno 2012, l’anno in cui la Juventus dopo un anno in Serie B e qualche annetto di purgatorio, guidata da una bandiera come Antonio Conte tornava a dare spettacolo, vincendo il trentesimo scudetto (legalmente il ventottesimo) e rivendicando la terza stelletta. Da quel momento sono passati quattro anni e in quattro anni pochissimo è stato fatto e molte più cose sono state dette.

E pensare che Tavecchio in occasione di Italia-Inghilterra una specie di decisione l’aveva pure presa, ribadendo come gli scudetti ufficiali del club torinese fossero 30 e come di conseguenza sarebbe stato necessario nascondere i gagliardetti non ancora vinti. La frecciata di Tavecchio arrivava prima di un’amichevole la cui valenza andava oltre i confini nazionali e che al fine di non danneggiare la credibilità del calcio italiano e delle sue Istituzioni si presentava come una scelta quasi obbligatoria. Una decisione che interrompeva un silenzio cominciato anni prima, gli anni del disastroso regno Abete, gli anni in cui lo Juventus Stadium si ornava di un “30” tanto grande quanto non legittimo. Ma l’omertà, giocata Italia-Inghilterra, è tornata a farla da padrona. Il caos è tornato a dominare.

Ad oggi dunque semi-censure a parte nulla è successo, nessuna presa di posizione, nessuna sanzione, niente di niente (a favore o a sfavore della Juventus). In una vicenda in cui ad avere la meglio è sempre stato il libero arbitrio, quel libero arbitrio che ha alimentato discussioni dirigenziali e conseguenti cacce all’uomo in Rete, quel libero arbitrio che ha creato quella che ad oggi ha tutti i tratti della vicenda tipicamente italiana, tristemente solo italiana.