Sport e vita in scena, sport è vita in scena. Un accento in più, ma un significato che non cambia. E’ questo il messaggio principale de “La leggenda del pallavolista volante”,la pièce teatrale che attraverso la biografia di un campione assoluto del volley tricolore come Andrea Zorzi, ci pemette di riscoprire con leggerezza la filosofia e il potenziale umano dello sport. 90 minuti di viaggio sul sipario in cui Zorzi, accompagnato da una strepitosa Beatrice Visibelli per la regia di Nicola Zavagli, si mette a nudo e passa da tratti ironici a tratti melaconici fino all’epilogo: la tragica finale persa contro l’Olanda, che segnò la fine di quella nazionale allenata da Julio Velasco, definita “generazione di fenomeni”.

Il gioco di squadra su tutto, oltre gli imperativi tecnici, economici e mediatici. Zorzi è approdato in settimana in Puglia tra Foggia e Bari, e tra i racconti di due ori mondiali e un argento olimpico ha tracciato considerazioni tra presente e futuro della pallavolo:

Andrea Zorzi, la leggenda del pallavolista volante è anche la sua leggenda, quella dell’uomo Andrea, dalla pallavolo al talk show.

«Proprio durante il tour un bambino mi ha fermato e mi ha chiesto: perchè parli di te come leggenda? E in effetti non ha tutti i torti. La nostra è una storia molto normale. In fondo quel gruppo ha vinto tanto, ma ha anche perso tanto. Era un gruppo di ragazzi eterogeneo che ha fatto del duro lavoro l’unica ricetta: fenomeni, ma di normalità. Il racconto è quello di una vita come tante altre, fatto con un linguaggio normale».

Ciò che colpisce è la tua capacità di metterti a nudo in tanti ambiti della tua vita sul palco. Sei uomo di sfide, quanto è stata grande questa?
«E’ vero, abbiamo lavorato su temi molto personali, ma io credo che il nostro intento fosse quello di accomunare mondo dello sport e della cultura: è emozionante raccontare le vittorie ma specialmente le sconfitte. Stiamo parlando di teatro, dobbiamo seguirne le regole. Per me è stato affascinante, molti adulti vedono che la storia che racconto, fatta anche di delusioni, d’amore, per i brufoli e i voti bassi, è anche la loro. Sono stato un atleta di successo, ma all’inizio ero scarso. E’ questo il messaggio che passa, arrivare al traguardo con il lavoro».

Come nasce questo progetto?
«Da un incontro casuale con Nicola e Beatrice: due anni fa Firenze era città europea dello sport e c’era grande richiesta di eventi che fondessero cultura e sport: abbiamo avuto il coraggio e la forza di farlo diventare uno spettacolo vero e proprio, poi il successo avuto ci ha fatto andare avanti, è stata una porta che si è aperta imprevedibilmente ma con tanti sorrisi».

Nella tua seconda carriera una vita da giornalista, mai banale, sempre capace di guardare allo sport secondo un’angolazione diversa. Qual è il tuo rapporto con la stampa?
«Quando ho avuto l’occasione di collaborare con Rcs, Rai Sport e Sky, ho sempre provato a non essere il classico commentatore ma a comprendere le regole del giornalismo. Per quanto mi riguarda, sono felice di poter dare un’opinione o una visione di quanto accade. Questo mi permette di non essere obbligato a raccontare la cronaca, a tracciare cornici per slegare lo sport dalla contingenza».

Gli eventi che Bari e la Puglia si apprestano a vivere tra maggio e settembre avranno grande risonanza: quale potrebbe essere lo spot di Andrea Zorzi?
«Io ho frequentato molto la Puglia, che tradizionalmente è una terra di pallavolo. La amo per le pianure che mi ricordano il mio Veneto e per gli scenari che ti offre: a giugno questa terra diventa un mare dorato, splendido. Spero davvero che il mondiale sia vissuto come un grande evento di pallavolo e come un modo diverso di vivere, andando oltre le difficoltà e ripartendo da quello che sappiamo offrire e fare meglio».