L’Etrusco un po’ consumato dall’asfalto era sempre lì, sotto il letto, da quando gli era stato regalato: il 19 maggio del 1990, il giorno del suo undicesimo compleanno, il giorno dopo il clamoroso passaggio di Roberto Baggio dalla Fiorentina alla Juventus. Il piccolo Andrea amava il calcio, nel comodino custodiva gelosamente l’album Panini e i muri della sua stanza erano ricoperti di poster dei calciatori.

La passione lo portava ogni giorno a scendere in strada a correre con i suoi amici fin quando si riusciva a distinguere il bianco del pallone. L’armadio era pieno di tute rattoppate all’altezza delle ginocchia, e di maglie delle Nazionali che aveva vinto con i punti dei succhi di frutta. Quella bianca dell’Inghilterra era la sua preferita, anche se gli inglesi non gli andavano molto a genio perché non riusciva a capire come mai in quasi tutto il mondo la gente dovesse imparare quella lingua.

Il piccolo Andrea era un tipo taciturno, a scuola era un vero portento in geometria, artistica e italiano. Inventava le favole più assurde e le maestre si chiedevano spesso da dove tirasse fuori tutta quella fantasia. Ma al piccolo Andrea interessava il calcio. Era il suo chiodo fisso. Era più veloce con la testa che con le gambe, e ciò bastava per guadagnarsi l’ammirazione di tutti i coetanei del quartiere.

Ogni sera prima di andare a dormire controllava che l’Etrusco fosse lì sotto al letto: la sola presenza lo rassicurava. Prima di spegnere la luce, sfogliava l’album delle figurine e si soffermava sulle foto dei suoi campioni preferiti. Poi sospirava domandandosi se un giorno anche lui fosse finito tra quelle pagine.

Una notte gli capitò di fare un sogno incredibile.

Giocava in serie A, ma non si sa bene dove, né in quale ruolo. Inspiegabilmente fu ceduto all’altra squadra della stessa città, lì diventò il regista inamovibile grazie a un allenatore un po’ paffutello. Vinse una Champions League e un campionato e conquistò il posto in Nazionale in pianta stabile. Addirittura diventò Campione del Mondo e l’anno dopo alzò al cielo la sua seconda Coppa dei Campioni. Passò ancora qualche stagione e vinse un altro scudetto con un allenatore più secco del precedente, ma con cui non andava molto d’accordo. Poi quel club in cui aveva militato e vinto per così tanti anni gli disse che era diventato vecchio, che non gli avrebbe rinnovato il contratto. Così decise di andare in un’altra squadra che da troppo tempo non vinceva. Arrivò lui e conquistarono due scudetti.

D’improvviso, dopo aver sognato di aver scagliato in fondo al sacco l’ennesima punizione-capolavoro, si svegliò e balzò giù dal letto. Si passò le mani sul volto e sentì che era pieno di barba. Signore e signori, Andrea Pirlo.