Russell Westbrook (Oklahoma City Thunder)
Quando non abusa delle proprie straordinarie doti atletiche e decide invece di gestire l’attacco dei Thunder in maniera più appropriata, il play californiano rappresenta una dolorosissima spina nel fianco per qualsiasi difesa NBA. È ciò che gli Spurs hanno provato sulla loro pelle: in certi frangenti la pur efficace difesa texana (Westbrook tenuto al 38% dal campo e al 29% da tre) non ha avuto la capacità di contenere le sue scorribande offensive, finalizzate sia in proprio che con svariate assistenze ai compagni. I suoi 25.2 punti, 10.5 assist, 6.5 rimbalzi, 2.0 rubate col 92% ai liberi, in fondo, non sorprendono nemmeno più.
Klay Thompson (Golden State Warriors)
Il figlio di Mychal – prima scelta assoluta del Draft del 1978, due volte campione con i Lakers dello Showtime – è stato il giocatore degli Warriors che più ha beneficiato (in termini di produzione offensiva) dell’assenza dell’MVP Curry per tre partite. Thompson ha viaggiato a 31.0 punti (top delle semifinali di Western Conference), 2.4 assist, 3.0 rimbalzi, 5.6 triple con il 49% dal campo, il 50% da tre e il 94% ai tiri liberi, cifre alquanto emblematiche della sua estrema pericolosità come terminale principale dell’attacco di Golden State.
Kevin Durant (Oklahoma City)
Anche se con qualche problema di troppo dalla lunga distanza (29.6% dopo il 26.8% del primo turno) il prodotto di Texas è riuscito a raddrizzare il proprio altalenante inizio di Playoffs con delle prestazioni maiuscole (41 punti in gara-4 e 37 nella decisiva gara-6) che hanno messo in ginocchio San Antonio. L’applicazione difensiva di Kawhi Leonard e soprattutto di Danny Green non gli hanno comunque impedito di mettere assieme numeri di assoluta eccellenza: 28.5 punti, 6.7 rimbalzi, 4.0 assist con un rotondo 50% dal campo e un ottimo 89% dalla linea della carità.
Draymond Green (Golden State Warriors)
Il nativo dello Stato del Michigan ha ormai pienamente dimostrato di essere uno dei giocatori più completi della lega, probabilmente il migliore dell’intera Western Conference in quest’ambito. L’infortunio alla caviglia patito da Steph Curry gli ha dato maggiori responsabilità in attacco (39 punti nella sconfitta di gara-3) senza che l’ala-centro facesse mancare il suo consueto contributo in ambo i lati del campo: nell’arco delle 5 gare della serie, Green ha infatti viaggiato a 22.2 punti, 11.2 rimbalzi, 7.4 assist, 1.8 rubate, 2.6 triple, 3.2 stoppate con il 45% dal campo, l’82% ai liberi e il 43% da tre.
Steven Adams (Oklahoma City Thunder)
Perché Oklahoma City potesse vincere la proibitiva serie contro gli Spurs, coach Billy Donovan aveva l’assoluto bisogno del salto di qualità di uno dei membri del supporting cast. Sorprendentemente, la variabile impazzita della sfida è stato il neozelandese, autore di diverse ottime prestazioni sia in attacco che in difesa. La versione crepuscolare di Tim Duncan non è stata all’altezza di Adams, la cui energia si è rivelata una risorsa preziosissima per OKC: le sue statistiche (11.0 punti, 11.8 rimbalzi, 1.0 stoppate con un eccellente 70% dal campo), seppur non roboanti, hanno fatto la differenza.