Tanti anni fa un illustre personaggio storico come Winston Churchill disse: “Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”.
Questo aforisma riassume alla perfezione la cultura calcistica italiana, cioè quel modo e quello spirito ineguagliabile di ribaltare ogni pronostico e di vincere partite già perse. Non è patriottismo spicciolo o esaltazione di chissà quale superiorità tattica, ma l’Italia nel calcio ha raggiunto risultati inaspettati solo quando ha giocato alla sua maniera, cioè facendo giocare gli altri.
Tralasciando i Mondiali del 1934 e del 1938, dove fattori storici, economici e sociali hanno influenzato fin troppo le vicende sportive, gli Azzurri del 1982 e del 2006 non erano assolutamente le squadre migliori della competizione. Ma hanno saputo riconoscere i propri limiti e si sono organizzati di conseguenza. Anzi, arrangiati, perché l’italiano non s’organizza, s’arrangia. Fatta eccezione per le memorabili partite contro la Germania, l’Italia non è mai stata propensa al gioco spettacolare, ma si è conquistata un posto tra le grandi del Mondo proponendo un calcio semplice ed efficace. Grandi portieri, difese arcigne, cuore e corsa a centrocampo e via in contropiede per sfruttare le doti tecniche e il fiuto del gol degli attaccanti.
Prandelli non aveva dei grandi giocatori e qui siamo tutti d’accordo. A dimostrarlo è il cammino dei nostri club nelle competizioni europee e più in generale il livello della Serie A, lontana anni luce dagli splendori degli anni ’90. Proprio per questo, abbandonare ‘difesa&contropiede’, da sempre marchio di fabbrica dell’Italia, è stata una scelta fatale. L’Italia non ha imposto il gioco nemmeno quando aveva grandi giocatori, figuriamoci se può permettersi di farlo ora.
Per cambiare cultura calcistica serve tutto ciò che un selezionatore non avrà mai: il tempo.
L’Italia si è presentata al Mondiale brasiliano senza un incontrista e orfana di un vero centravanti d’area di rigore. Balotelli è un attaccante di movimento e Immobile, Cerci e Insigne sono giocatori abili in contropiede. Prandelli ha basato il gioco sul possesso palla dei centrocampisti e così facendo non ha sfruttato minimamente le doti di velocisti degli attaccanti a disposizione. Verratti, Pirlo, Thiago Motta e De Rossi hanno optato quasi sempre per il fraseggio e mai per la verticalizzazione. Risultato: 4 tiri in porta in 3 partite.
Prandelli ha commesso lo stesso errore di Guardiola al Bayern Monaco: ha snaturato un modo di essere.
L’Italia non ha nelle corde il futbol bailado del Brasile, il calcio totale dell’Olanda, il tiki-taka della Spagna né il ritmo forsennato della Germania. L’Italia deve fare l’Italia. A Brasile 2014 non saremmo arrivati lontani per le evidenti lacune della rosa a disposizione, ma quantomeno potevamo arrivare agli ottavi e far soffrire la più quotata Colombia.
Caro Prandelli, hai giocato con le armi sbagliate.