I Campionati Mondiali di ciclismo su strada di Bergen 2017 hanno rappresentato una fortissima pubblicità per la cittadina norvegese teatro delle gare, tanto che uno degli slogan accompagnati alla manifestazione era riassunto nell’espressione “la più grande festa di Bergen dopo la liberazione dai nazisti”.
Sul piano dello spettacolo di certo non ci siamo annoiati ed abbiamo assistito ad una settimana ricca di pathos, culminata con la storica vittoria nella gara regina, quella dei professionisti, da parte di Peter Sagan, oltreché aver gioito per le tante medaglie per i colori azzurri, protagonisti in particolar modo tra gli juniores.
Eppure c’è qualcosa che non torna: sono proprio i conti che non tornano da parte della federciclismo nazionale che si è accollata l’onere organizzativo e finanziario della kermesse. Allo stato attuale, sui sedici milioni di euro di budget inizialmente previsto, sono stati spesi oltre ventitré, con un disavanzo di sette milioni che stanno mettendo in ginocchio le finanze locali.
Una situazione di certo non brillante, che rischia di ampliarsi ulteriormente se non si provi a porre riparo sin da subito alla faccenda. Per ovviare a ciò, è stata già indetta una raccolta fondi che ha portato, in poche ore, alla cifra di trecentomila euro: ancora decisamente pochi, ma almeno si tratta di un primo segnale positivo. È per questo motivo, probabilmente, che ormai sono poche le città che ogni anno aspirano ad accaparrarsi un’edizione dei Mondiali di ciclismo: un tempo nello stesso Stato era lecito trovare due o tre contendenti, stavolta l’Uci fa fatica a reperire candidate.
Ne è un esempio l’edizione che si disputerà nel 2020: dagli iniziali Paesi fattisi avanti (Olanda, Colombia ed Australia) è rimasta solo l’Italia, che con ogni probabilità ospiterà la rassegna a Vicenza e nell’intero Veneto. Ma il nuovo Presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale David Lappartient, appena insediatosi sulla poltrona di Aigle, dovrà riflettere sullo stato attuale delle cose.