29 novembre 2016: un’intera squadra brasiliana, la Chapecoense, scompariva in seguito ad un drammatico incidente aereo mentre era diretta verso Medellin per disputare una gara internazionale, la finale della Copa Sudamericana contro i colombiani dell’Atletico Medellin. Un dramma incredibile, una nuova Superga con soli sei superstiti su ottantuno passeggeri totali.
Tre i calciatori che riuscirono a salvare la vita: il ventisettenne terzino sinistro Alan Ruschel, il trentunenne difensore Helio Zampier Neto e il ventiquattrenne secondo portiere Jackson Follman. Da loro e dai nove compagni salvatisi in quanto non convocati e quindi non partiti per la trasferta senza ritorno – Nemen, Demerson, Boeck, Andrei, Hyoran, Winck (ex Verona nel 2015), Martinuccio, Moises e Nivaldo – è ripartita la squadra verdeoro.
La prima gara in assoluto dopo la tragedia era avvenuta poco più di un mese fa in occasione di un match amichevole contro il Palmeiras. Era stata l’occasione per alzare al cielo, con dedica, quella Copa Sudamericana che era stata consegnata d’ufficio al club. La ricerca della ripartenza, provando a superare con evidenti difficoltà quel momento estremamente difficile.
A quattro mesi dallo schianto, la Chapecoense è ritornata in campo per la prima volta anche a livello internazionale. Ha fatto l’esordio in Copa Libertadores e si è imposta con il punteggio di 2-1 sui venezuelani dello Zulia. Al momento dell’ingresso nello stadio in cui si è svolto l’incontro, il ‘Pachencho’ Romero, tutta la formazione è stata accolta da un’ovazione e da un grande incitamento dai tifosi avversari.
La reti decisive vengono realizzate da Reinaldo e Luiz Antonio, due rappresentanti di una rosa composta prevalentemente da giocatori provenienti dal settore giovanile, uniti ad alcuni giunti in prestito da altri club nazionali. A fine gara, l’abbraccio commosso tra staff e atleti e la comprensibile commozione per un ricordo che è ancora troppo fresco da poter cancellare (e che forse non potrà mai essere cancellato).