Dicembre: il mese del Natale, delle luci e dei regali, del freddo, del “siamo tutti più buoni” e del “fai felice qualcuno”. Ma i calciofili rispondono con un bel chissenefrega: dicembre è il mese delle discussioni sul Pallone d’oro. Non è chiaro perché questo premio susciti tanti dibattiti e prese di posizioni. Forse perché riassume la questione più pura che fin da bambini ci ha visti interrogarci con quell’espressione sognante: chi è il più forte del mondo? E noi lì a rispondere che il più forte era l’idolo della nostra squadra del cuore e che nulla ci avrebbe fatto cambiare idea.
Poi si cresce, ma certi mondi non cambiano mai: chi è il più forte del mondo? Chi merita il Pallone d’oro? La FIFA ha emesso il suo verdetto parziale, decretando i tre finalisti: Messi e Cristiano Ronaldo neanche a dirlo e poi la novità Manuel Neuer. Ma oggi più che mai, è stata persa l’ennesima occasione per dare un senso diverso a questo riconoscimento, ormai da anni troppo ancorato ai trofei vinti e ai potentissimi ma freddi numeri che hanno portato i protagonisti a vincerlo. Per carità, nessuno discute l’importanza delle vittorie, i record fuori dal normale che ad esempio Messi e Ronaldo continuano a battere quotidianamente. Però il calcio non è solo questo: il calcio è classe, eleganza, stile, applicazione, perseveranza. Il calcio è anche Andrea Pirlo, che a 35 anni continua a incantare e a mettere d’accordo i tifosi di tutto il mondo. Pochi calciatori come Pirlo infatti sono riconosciuti universalmente come sinonimo di classe nell’accezione più pura del termine: #PirloIsNotImpressed ma noi sì, continuamente. Aldilà della fede calcistica, perché è difficile trovare qualcuno che discuta Pirlo e non lo apprezzi, anche all’estero. Pirlo è diventato il simbolo del calcio italiano nel mondo, senza bisogno di essere un personaggio fuori dal campo. Anzi, forse lo è pure diventato, ma involontariamente: la barba, l’eleganza nel vestirsi, lo sguardo imperturbabile. Quando Andrea però è decisivo, come domenica e come spesso gli capita, è felice e lo fa vedere.
Per Pirlo però più che per ogni altro parla il campo e quello che riesce a fare: una punizione dal limite si trasforma in un rigore se sul punto di battuta c’è lui; il pertugio da cui la palla è passata domenica al novantatreesimo di un derby dove non aveva particolarmente brillato, lo avrebbero trovato in pochi; le traiettorie dei lanci, dei passaggi, di un semplice appoggio: Pirlo, ancora di più dal vivo, impressiona per la facilità con cui mette il compagno a suo agio. Sembra dirigere un orchestra: non a caso è il Maestro, o come direbbe Francesco Repice, storico radiocronista di Radio 1, è Von Karajan, uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi. E chi pensa che pecchi di grinta o che sia statico perché preferisce far correre la palla, si sbaglia di grosso: perché Pirlo gioca davanti alla difesa e chi scrive lo vede rincorrere gli avversari partita per partita (almeno da 3 anni a questa parte).
Basterebbe questo, basterebbe semplicemente godere delle sue giocate per rendersi conto che Pirlo meriterebbe il Pallone d’oro. Ma non come premio alla carriera, come oggi sostenevano alcuni giornali, ma quello vero. L’essenza del calcio. Un po’ tristemente però l’essenza del calcio oggi viene accantonata, messa da parte. Paradossalmente premiare la classe cristallina è diventato controcorrente: già a maggio o a giugno basterà vedere chi ha vinto un trofeo. E si tratterà sempre degli stessi, perché le squadre più forti sono quelle.
Chissà, forse nel 2015 Andrea Pirlo vincerà un trofeo importante o forse no: a noi piacerebbe che a prescindere da questo il prossimo dicembre lui sia comunque al centro delle nostre discussioni sul Pallone d’oro, tra una luce di Natale e il desiderio di un regalo.