Giacomo Sintini, o meglio Jack, pallavolista romagnolo, classe’79, ha iniziato la sua carriera di palleggiatore nel Porto Ravenna Volley , per poi approdare al Volley Forlì e al Sisley Treviso. Attualmente, gioca nella Trentino Volley, dopo un anno di stop dovuto alla scoperta di un linfoma.
Dall’esperienza della malattia, e la successiva guarigione, è nata l’Associazione Giacomo Sintini, con l’obiettivo di raccogliere fondi per la ricerca su leucemie e linfomi e per l’assistenza in campo onco-ematologico, e il libro Forza e coraggio, edito da Mondadori e in libreria dallo scorso gennaio, chiaro esempio di un riuscito mix di sport, scrittura e vita vissuta, come lo stesso Sintini ci rivela.
Come è nata l’idea di parlare della sua esperienza con la malattia in “Forza e coraggio”?
Ho sempre voluto raccontare la mia esperienza di lotta al cancro. Guarito, appena ho cominciato a sentirmi meglio mi sono spinto a tornare nei reparti oncologici per incontrare i malati e le persone che li assistono. La mia storia è importante, è una storia a lieto fine e può aiutare moltissimo chi sta affrontando il male. Portare un po’ di speranza agli altri per me è diventata come una missione, un’opportunità nata dalla sofferenza e un’occasione per restituire con gratitudine un po’ del tanto bene che io e la mia famiglia abbiamo ricevuto durante le cure. Il libro è venuto dopo, dopo moltissimi incontri che io faccio ormai da 2 anni nelle scuole, in tv, alla radio, nelle parrocchie e negli ospedali. Il libro non è altro che un modo per amplificare il mio messaggio, renderlo più preciso e più duraturo nel tempo, con la speranza che sempre più persone possano trarne vantaggio.
Si dice che scrivere può essere terapeutico. E’ stato così anche per lei? Perché?
Devo proprio dire di si. Ripercorrere nei dettagli il nostro periodo di paura e dolore ci ha aiutati a capire meglio, a dare un senso a molte cose e ad esorcizzare alcuni aspetti che inevitabilmente hanno rappresentato un grosso trauma per me e i miei cari. Scrivere questo libro è stato molto bello e molto importante per noi.
Dopo la guarigione le mancava comunque qualcosa, ovvero giocare. Come è stato rientrare in campo?
Incredibile! Una delle sensazioni più belle e piene della mia vita. Tornare a giocare in serie A1 dopo che la malattia mi aveva messo all’angolo è stata una immensa soddisfazione. Un vero ritorno alla vita. Non smetterò mai di ringraziare per questa seconda possibilità che mi è stata concessa.
Nel percorso di guarigione certamente i momenti di sconforto non sono mancati. Cosa le ha dato la giusta spinta?
E’ stato un periodo davvero molto, molto duro. Devo dire che moltissime sono state le cose che mi hanno aiutato a resistere. La mia famiglia, l’amore per mia figlia e mia moglie e la vicinanza dei miei cari, dei miei amici. La preghiera e la fede che mi hanno sostenuto quando le persone non riuscivano a donarmi consolazione. La voglia di tornare allo sport che amavo. La bravura e l’umanità del personale medico che mi ha assistito e curato (medici, infermieri e volontari).
Ogni giorno cercavo di prendere il massimo da ognuna di queste risorse e tentavo con tutte le mie forze di andare avanti. La verità è che io ho lottato, tante persone mi hanno aiutato e sostenuto, la medicina ha avuto una parte centrale ed importantissima. Poi ho avuto fortuna, tanta fortuna. Molte persone, che ho anche conosciuto, ci mettono tutta la determinazione che ci ho messo io e forse anche di più, ma purtroppo non riescono a farcela. L’avversario che affrontiamo è molto forte, noi dobbiamo fare in modo che tutto ciò su cui possiamo influire con la nostra disciplina e il nostro atteggiamento vada sempre nel migliore dei modi. Poi dobbiamo affidarci ai medici, alle loro competenze e sperare. Dobbiamo restare uniti in questa battaglia e lavorare tutti insieme affinché sempre più persone possano salvarsi, sempre più papà e mamme possano tornare dai loro bambini, figli dai loro genitori, mariti dalle loro mogli, mogli dai loro mariti, e così via. La lotta non è semplice ma c’è speranza e io l’ho vista!