Come ogni lettera di addio, le parole trasmettono sempre tristezza. “I am taking this opportunity to announce that unfortunately Saturday was my last game for the New York Red Bulls.” Parole pesanti come un macigno. “Was my last game”: è stata la mia ultima partita. L’ultima partita di un campione: Thierry Henry.
Ha bisogno di riflettere. Dopo quasi 20 anni di calcio Henry, al termine del match fra i suoi NY Red Bulls e i New England Revolution, che ha visto l’eliminazione della squadra di New York, scrive, sulla sua pagina Facebook. “I will now take the next few weeks to reflect and decide on the next chapter of my career.” Devo decidere e riflettere su un nuovo capitolo della mia carriera.
La carriera di Henry è di quelle da ricordare. Da sedersi con i nipotini davanti ad un camino ed iniziare a raccontare. I suoi 20 anni di calcio giocato sono tanti, ma sono soprattutto ricchi di soddisfazioni sia personali che di squadra. Non serve elencarli tutti. Henry ha praticamente vinto tutto, campionati, champions league, coppa del mondo, europeo, campionato per club, confederation cup, scarpa d’oro, vari titoli di capocannoniere.
È tutto scritto e riportato negli almanacchi, oggi vogliamo ricordare Henry per l’uomo che è stato, per il campione che è stato. Parlare della sua carriera raccontando episodi. Una carriera fatta di persone, di tecnici, di compagni di squadra, di stadi e ovviamente di club.
La sua carriera iniza al Monaco dove incontra una delle persone che diventeranno fondamentali nella sua carriera. Un tecnico che di nome fa Arsène e di cognome Wenger. Wenger lo prende dalle giovanili e lo lancia nel grande calcio, le loro strade si dividono subito, nel 1994, ma sono destinate a rincontrarsi.
Henry nel Monaco si afferma come giovane di livello internazionale insieme ad un altro francese che di nome fa David e di cognome Trezeguet, i due si trovano a meraviglia e rendono facile il compito a Tiganà che porta la squadra del Principato e dei due giovani terribili alla conquista del titolo francese. I due avranno anche un’altra cosa in comune oltre che il Monaco e la nazionale: la Juventus. Ma con esiti decisamente diversi.
A gennaio del 1999, infatti, dopo aver vinto un mondiale con la Francia, Thierry si trasferisce in Italia, alla Juventus per una cifra record. Questa è forse la più grossa occasione che il calcio italiano ha perso di godersi un campione del calibro di Henry. Un Moggi troppo frettoloso e dieci milioni di sterline convincono la Juventus a cedere il francese dopo neanche un anno all’Arsenal impedendo a tutti noi di goderci Zidane e Henry insieme.
Ma c’è il destino che l’aspetta. C’è quel tecnico che lo aspetta. A Londra, sponda Arsenal, c’è Mister Arsène Wenger ad attenderlo a braccia aperte. I due sono cresciuti, Wenger ha riportato un titolo all’Arsenal che mancava da qualche anno, ha portato una ventata di modernità, con allenamenti particolari e richiesta di giocatori stranieri. Una sorta di antipasto di quella che poi oggi è diventata la Premier. Sceglie Henry, lo vuole per sostituire Anelka in partenza per il Real Madrid. Titì fino ad allora ha sempre giocato ala o comunque attaccante esterno ma Wenger lo vuole come punta. Il francese non è molto convinto, i due ne discutono, Wenger lo convince, gli chiede di fidarsi. E così è stato. Si è fidato e sono arrivati titoli per Henry e per l’Arsenal degli Invincibili in grado di chiudere un intero campionato senza mai perdere allungando la striscia di imbattibilità addirittura a 49 partite. Henry grazie a Wenger è entrato nella storia dell’Arsenal e del firmamento del calcio europeo e mondiale.
C’è un momento particolare della storia di Henry che lo lega in modo indissolubile con l’Arsenal e in particolar modo con lo Stadio di Highbury. È il 7 maggio del 2006 e si disputa l’ultimo match nell’ormai vecchio Stadio dell’Arsenal destinato alla demolizione. L’Emirates Stadium, il nuovo campo di gioco, è ormai pronto ad aprire i battenti e i Gunners devono abbandonare per sempre Highbury. L’Arsenal gioca contro il Wigan. La partita termina 4-2, Henry realizza una tripletta e al suo terzo goal, su rigore, si inginocchia e bacia l’erba di Highbury. “The King of Highbury” Monsieur Thierry Henry.
Quando va via da Londra, è ormai leggenda. C’è addirittura una sua statua all’Emirates Stadium. Ma è tempo di andare, ha bisogno di nuovi stimoli, magari ha anche fiutato che il ciclo degli Invincibili è finito e così decide di partire. La sua carriera continua in Spagna, dove con la maglia del Barcellona continua a vincere conquistando anche la tanto desiderata Champions League.
Ma proprio la Spagna era stata già protagonista di un episodio non felice per l’attaccante francese. Durante un match tra Spagna e Francia, infatti, nel 2004, l’ex tecnico delle furie rosse Luis Aragones parlando con il suo giocatore Reyes, si lasciò andare ad una frase con pesanti toni razziali: “Fa vedere a quel negro di merda che sei migliore di lui»“, riferendosi proprio ad Henry. Titì, vittima di pesanti accuse a sfondo razziale anche durante le partite, da parte dei tifosi, decise così di sensibilizzare il mondo del calcio alla lotta contro il razzismo e, anche grazie all’aiuto della Nike, si fece promotore della campagna “Stand Up Speak Up”. Lui e altri giocatori indossarono dei braccialetti bianchi e neri per dimostrare il loro dissenso verso il razzismo. Nello stesso anno Henry si presentò alla premiazione del Fifa World Player, in cui arrivò secondo dietro Ronaldinho, indossando i due bracciali e una maglietta di Che Guevara di cui si è sempre dichiarato grande ammiratore.
Ha lasciato Barcellona andando a regalare calcio negli Stati Uniti con i New York Red Bulls, fino alla sua ultima partita.
Ha smesso di giocare un grande uomo, un grande campione. Eleganza, velocità, tecnica. Ora è tempo di riflettere. A Londra lo aspettano a braccia aperte. Wenger è pronto a riprenderselo come vice. Ma Titì Henry deve prendersi il suo tempo e decidere per il meglio come ha sempre fatto.
Applausi per tutto quello che sei stato Monsieur Henry. L’ultimo uomo che ha baciato l’erba di Highbury.