Morto il Barcellona, morta la Spagna. Che palle, direte voi lettori. Muoiono tutti. Ieri il Brasile, oggi le furie rosse. Ma insomma, si può sapere che succede? Chissà, probabilmente ho la sindrome della morte. D’altronde il mio “editor” viene da un’esperienza con l’ebook Lutto Libero (1.99 su tutti gli store digitali, adesso avrò il caffè pagato per la pubblicità) e sono stato contagiato. Eppure parlano i fatti, dicono la verità. E la terribile equazione sopra citata è il caro prezzo che si paga a plasmare una Nazionale con lo stampino ad una squadra di calcio. Arriva il giorno – e arriva, prima o poi – dei cosiddetti cicli che finiscono. E come è finito quello dei catalani, le cose si sono complicate anche per Del Bosque che in fondo Messi in attacco non ce l’ha. Il tiqui-taca, specchietto per le allodole del bel calcio ma realmente palloso da vedere (ma cosa ci si troverà di bello in calciatori che si passano la palla avanti e indietro senza tirare mai?), non funziona più. Xavi e Iniesta perdono inevitabilmente di smalto, davanti non le risolve più il signor Villa, ma ci prova un brasiliano chiamato Diego Costa che si ritrova a indossare la camicetta rossa. E poi in difesa non sono più granitici come un tempo. Piquè e Ramos sembravano ragazzini alle prime armi, Casillas viaggia verso un declino che sta sporcando una vittoriosa carriera. Tra ultimo Mondiale e ultimo Europeo avevano subìto solo tre reti. Oggi, in meno di 45′, ne hanno presi cinque. E hanno fatto crollare la seconda certezza in due giorni, facendone subentrare una: questa Coppa non può pronosticare padroni. Non ci sono big, ma solo outsider che ci proveranno e regine che cercano di rispolverare il trono. Insomma, mai come quest’anno il futuro dell’ex Coppa Rimet è incerto. Prima un Brasile poco convincente, poi una Spagna surclassata, umiliata e distrutta da una magnifica Olanda. Sì, l’Olanda.
Abbiamo parlato, giustamente, della morte della Spagna. Ma questa cinquina non sarà frutto esclusivamente di una lista indimenticabile di errori. Anche l’Olanda ha il suo quaderno colmo di meriti. E io faccio mea culpa. Perché come vanto tutti i miei “l’avevo detto io che sarebbe andata a finire così”, faccio marcia indietro sugli orange. Dicendo che sarebbero usciti al primo turno, ho creato la cazzata dell’estate. Non avevo fatto i conti con Louis Van Gaal, uno che sa come si vince giocando bene. Il massimo che si possa chiedere nel calcio. Uno che ha creato la cosiddetta distanza tra i reparti. Difesa giovane, ma matura, e attacco “esperto”, sorretto dalla regia di Sneijder, e velocizzato dagli scatti imbattibili di Arjen Robben e dalla lucidità meravigliosa di Robin Van Persie (foto Action Images). Sono andati sotto per un rigore, ma non si sono disuniti. In fondo avevano fatto una signora partita, ribaltata con due reti da fantascienza. Un colpo di testa volante del capitano e una rete propiziata da un aggancio al bacio dell’esterno bavarese. Poi una traversa, un gol in mischia, una papera di Casillas e il quinto sigillo. Uguale: umiliati i campioni di tutto. Quest’Olanda diverte, è degna della sua storia. È una delle regina senza corona nella sua vita calcistica. Ha sempre gestito momenti di vuoto, ma nel fiore dei suoi anni ha continuamente espresso un calcio sbarazzino, divertente e riconciliante con lo sport che piace a noi. Altro che tiqui-taca. Ci era arrivata in fondo al Mondiale sudafricano contro la Spagna, vedendo la Coppa sfumare all’ultimo. Oggi la storia è cambiata, la ruota ha cambiato giro. La Spagna è morta, proprio mentre i tulipani esportati dall’Impero Ottomano- sinonimo di amore vero, quello per il pallone – rifioriscono nel massimo del loro splendore.