È una delle Nazionali più controverse della storia dei Mondiali. Una di quelle storie impossibili da tenere in cantiere. Quelle che non puoi lasciare accantonate a far la muffa nei cassetti. Una narrazione recente che oggi torna viva, per scrivere nuove pagine di un capitolo assurdo, represso e quasi isolato. Quasi affascinante da raccontare per noi, straziante per loro. È il gioco del relativismo, in fondo. Gli occhi, oggi, sono stati puntati su Germania-Portogallo. Su un 4-0 netto e incontrovertibile. Ma questa sera c’è stato molto altro in Brasile, a Curitiba. C’è un avversario, quello della Nigeria, con una vita strana. Tutta da raccontare. Aldilà dello scialbo 0-0 visto in campo. La vita di cui parliamo è quella dell’Iran, paragonabile al libro più bello del mondo che non vende neanche una copia. E non la vende per questioni più potenti. Perché qualcuno non vuole che si venda. Perché nei vertici del paese qualcuno odia quella festa. E anche quest’anno la situazione è in costante peggioramento.

Facciamo un passo indietro. È il 1978, il mondiale argentino domina la scena estiva. C’è l’Iran, per la prima volta. È un esordio indimenticabile, nonostante l’eliminazione e le umiliazioni contro gli orange dell’Olanda e il Perù. E sarà indimenticabile perché contro la Scozia arriverà uno storico 1-1, il primo punto della storia in un Campionato del Mondo. Ma non è qui che si scrive la dolorosa storia. Già negli anni ottanta, quando la situazione politico-religiosa si complica notevolmente con la Rivoluzione del 1979 e lo scontro con l’Iraq, la Nazionale è costretta a rinunciare al Mondiale dopo aver ottenuto una sudata, quanto inutile, qualificazione.

Passano vent’anni, l’Iran ritorna. Lo fa in Francia, nel mondiale organizzato e vinto dai transalpini con un secco 3-0 rifilato al Brasile del “Fenomeno”. O meglio, della sua controfigura. Ma questa è un’altra storia. La sorte si diverte a giocare e inserisce nello stesso girone gli iraniani con gli Usa. Ecco, per chi non lo sapesse urge ripassino di storia. Avevamo accennato alla Rivoluzione Iraniana. Siamo nel fulcro. Lo scià Mohammad Reza Pahlavi è supportato dagli States. E questo provoca una reazione non proprio felice da parte dell’Iran, che manifesta a Teheran contro l’ambasciata americana. Risultato: 52 ostaggi americani portati via, di cui sei riescono a fuggire trovando rifugio proprio nell’ambasciata canadese. Il tutto in una fredda giornata di novembre, quando l’autunno ferma quasi il tempo. Insomma, per semplificare le cose e non dilungarsi in una noiosa ed inutile lezioncina di storia, è tutto riassunto nel grandissimo successo cinematografico “Argo”. Un film nel (falso) film che riepiloga con estrema genialità quanto accaduto.
Ma torniamo ai Mondiali. C’è una partita di calcio e c’è chi la definisce “la madre delle partite”. E non per lo spettacolo tecnico, modesto ma con qualche buona individualità, presente sul terreno di gioco. Per stemperare un pre-gara assai teso, con sfondo di preoccupazione, fu esemplare il comportamento sugli spalti e soprattutto in campo delle due squadre, raffigurate con una foto e un abbraccio prima del match. Ed è un match che ancora oggi è nella storia della nazionale asiatica. Resta, infatti, l’unico incontro vinto fino ad ora dall’Iran in un Mondiale. Una gara di rimessa, con il pallino in mano agli americani e dei contropiedi micidiali che portarono prima il gol di Estili e poi, a 4′ dalla fine, quello di Mahdavikia, lucido a realizzare il bis davanti agli occhi di Bruno Pizzul, che commentò quella incredibile sfida. Nel finale servì a poco il gol di McBride. Un contorno di poco conto. Fu una festa, gigantesca. Esultarono anche le donne e nessuno osò reprimere una gioia così bella. Spontanea. Perché l’Iran ama il calcio come noi. Come tutti gli altri.

In Germania andò malissimo e oggi la rassegna parte con un pareggio a reti bianche, il primo del torneo per adesso, contro una Nigeria spenta e compassata. Ecco, siamo nel 2014 ma questo Iran versione 2.0 ancora non esiste. La situazione non è delle migliori, nonostante la squadra sia guidata da Queiroz, un profilo di spessore e di esperienza internazionale. E non c’entra neanche il campo, nonostante una difesa tatticamente ben piazzata, ma un attacco ancora troppo debole guidato da “Gucci”, il fenomeno violinista degli iraniani.
È il Governo il solito problema. È ancora troppo freddo con questa Nazionale che nel suo piccolo ha conquistato altre gioie, come l’exploit in terra coreana dove hanno strappato la qualificazione. C’è un’altra festa, ma questa volta i vertici hanno preteso delle contromisure. È severamente vietata la presenza mista tra uomini e donne per vedere le partite ed è assolutamente impedita anche una minima idea di raduno nei ristoranti, nelle piazze o nei bar per seguire gli incontri dell’Iran. La spending review domina: i calciatori non possono neanche scambiare le maglie a fine gara con i propri avversari e Rohuani, il capo del governo, si è anche assentato – additando le colpe della sua mancata presenza al maltempo – alla festa di saluto e di augurio per la squadra. E nonostante il milione arrivato dalla Fifa, “non c’erano soldi per le amichevoli pre-mondiali”. A quel punto Queiroz, dall’alto della sua professionalità, pur non gradendo la scarsa collaborazione (per usare un eufemismo), ha cercato di isolare il suo gruppo, riuscendo a contattare qualche nazionale non qualificata come Mozambico, Angola, Bielorussia e Trinidad e Tobago e potendo così preparare i suoi uomini alla kermesse più importante del mondo.

Questa è l’Iran. Il miglior libro mai scritto capace di non vendere neanche una copia.