In Argentina dicono che Dio tifa Boca. Lo dicono i tifosi, chiaro. Non so quanto sia vero, ma so che Dio tifa Juan Roman Riquelme.
E oggi, all’annuncio del ritiro ufficiale di Riquelme probabilmente una lacrima sarà scesa anche a lui. Riquelme non è proprio uno stinco di santo. Chi lo ha conosciuto nell’infanzia lo ricorda come l’esatto contrario. Quello che arrivava ai campi d’allenamento con poca voglia di fare, e che se ci litigavi diventava anche pericoloso. Il Boca lo pagò 800.000 euro quando ancora doveva diventare maggiorenne. Lui a 20 anni aveva già vinto tanto. Si abituò sin da piccolo. E a 24 anni provò il viaggio della speranza che tanti argentini hanno fatto: Barcellona.
Come Maradona. Oggi definito “il più grande di tutti”, ma è lo stesso con cui qualche tempo fa Riquelme arrivò allo scontro. Screzi tra gente che con i piedi ha sempre saputo fare quello che voleva. E con un caratterino un po’ esuberante fuori dal campo. Riquelme al Barcellona fallisce. O meglio, i blaugrana erano lontani dai fasti recenti e Riquelme visse una stagione nell’anonimato, perdendo anche il posto da titolare. E passa al Villareal.
Una cittadina di 50.000 abitanti che ha vissuto una favola calcistica come ce ne sono state poche. E Riquelme scriveva pagine di poesia in un libro che ad aprirlo oggi lascia ancora senza fiato. Era quel Villareal che arrivò alla semifinale di Champions, contro l’Arsenal di Henry, la formazione dei Gunners più forte degli ultimi 15 anni. All’andata vinsero gli inglesi: 1-0. Al ritorno il Villareal al Madrigal attacca. Vuole il gol per raggiungere i supplementari, ma la porta è stregata. Storia ordinaria di una favola che va a interrompersi sul più bello, come ne abbiamo viste tante. Ma c’è la svolta: un calcio di rigore concesso al Villareal. E dal dischetto ci va Riquelme, quando mancano due minuti alla fine e un gol vorrebbe dire supplementari. Sguardo basso, e testa piena, chissà di cosa. Riquelme calcia su Lehmann e poi morde la propria maglietta. Si interrompe così la favola. Poi lui tornerà in Argentina, al Boca (“l’unica squadra che mi interessa”) mettendo fine a una diaspora che ci ha fatto vedere in Europa uno dei calciatori tecnicamente più forti dell’ultimo decennio.
Un calciatore artistico, come lo definì Marca. “Il calciatore con più arte”. E Riquelme ha realizzato davvero opere d’arte. Ha reso uno sport un gesto di follia e arte allo stesso tempo. Con quello sguardo da duro e con pochissime parole. Chissà se ripensando a quel rigore ha mai provato a darsi una spiegazione. Sarà il bello del calcio, ma se esiste un Dio e tifa Riquelme in quel momento si sarà distratto. E lui si congeda oggi da tutti gli amanti del calcio, ma sarà solo un arrivederci: perché vuole tornare al Boca, “magari da presidente”, in futuro. E anche se non sarà la stessa cosa già lo aspettiamo. Perché ci ha salutati dicendo: “ho realizzato tutti i miei sogni”, e ha realizzato anche quelli di chi ama questo gioco. Grazie.