C’è stato un momento in Estate in cui attorno alla Juventus aleggiava unvelo di pessimismo, quasi irrimediabile, che si è dissipato non appena è arrivato l’autunno prima, e l’inverno poi. Allegri era arrivato senza i favori del pronostico, e con qualche mugugno di troppo. Poi c’era stato il mercato.
E l’acquisto di Alvaro Morata. Fu annunciato qualche giorno dopo l’addio di Conte. Arrivava in Italia dal Real Madrid, per 18 milioni di Euro e con un diritto di “recompra” da parte del club madrileno. Venne criticata la formula, perché una grande squadra, si diceva, non avrebbe dovuto fare operazioni simili. E venne criticato l’acquisto in sé. Alvaro Morata soffriva, almeno mediaticamente, il paragone con quei calciatori sui quali la Juve aveva glissato. I “giovani” che avevano il suo stesso profilo, e che però erano per metà già bianconeri: Manolo Gabbiadini e Ciro Immobile.
Nel giro di qualche mese Marotta si libera di entrambi gli attaccanti italiani. Cede la metà in possesso della Juve a Napoli e Borussia Dortmund. Ha preso Morata, e punta su di lui. Sui social qualcuno critica. Lui, in imbarazzo in Estate nello spiegare l’addio di Conte, rimane calmo. Sembra quasi sapere che prima o poi ci sarà una rivincita. Poi capita che in Champions Morata incontri Immobile. Uno nella Juve, l’altro nel Borussia Dortmund. Dalla Germania uno parla di vendette, del sentirsi granata dentro e di voler segnare per i tifosi del Napoli. L’altro parla poco. Molto poco. Poi scende in campo e sfodera una prestazione da fenomeno. Che a Marotta ancora brillano gli occhi. E ha segnato Morata, o Marotta. Questione di una lettera in più, e di un fiuto: per il gol, e per gli affari.