Siamo tutti testimoni di un processo che durerà in eterno. Siamo testimoni della Storia, e il calcio non è da meno. Il gioco più bello del mondo, l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo è e sarà sempre intrecciata con la Storia. Suo malgrado.
Il viaggio nel tempo ci porta al 1938 e ad una partita tra Italia e Francia al Mondiale. La gara, valida per i quarti di finale, si giocò in Francia e vedeva le due nazioni contrapposte non solo nel rettangolo verde ma anche e soprattutto nella guerra di Spagna. Uno dei primi scontri politici nella storia del calcio. La Storia, e la storia del calcio si intrecciano, indissolubilmente. Non era solo Italia-Francia, era Fascismo contro Socialismo. Era una maglia nera, indossata dagli uomini di Pozzo, e il saluto romano ad inizio partita. E vinse l’Italia, che perse la guerra. Ma questa è un’altra storia.
Gli anni della Guerra Fredda sono un libro di storia aperto nel mondo del calcio. E arriviamo agli anni ’50. Quando alle Olimpiadi del ’52 l’Unione Sovietica affrontava la Jugoslavia, in uno scontro che non era una partita di calcio tra una modesta squadra sovietica e una buona compagine jugoslava ma la resa dei conti tra due paesi che avevano scelto due vie diverse al socialismo. Dopo 15 minuti la Jugoslavia vinceva 5-1, ma l’Urss in una sorta di rivoluzione d’Ottobre applicata al calcio ribaltò tutto e pareggiò: 5-5. La partita ebbe la propria ripetizione 3 giorni dopo e l’Urss passò in vantaggio con Bobrov. Fu solo un’illusione, quasi come tutta la Storia del paese sovietico. Finì 3-1 per la Jugoslavia, ma Stalin non la prese bene. I calciatori furono squalificati e derisi pubblicamente. Il dittatore morì dopo non molto, e il caso si chiuse con la nascita della superpotenza Urss anche nel calcio. Ma gli anni ’50 furono anche quelli del mondiale del ’54 e della finale tra l’Ungheria e la Germania. Una potenza del patto di Varsavia contro la Germania. L’Ungheria degli invincibili: la prima squadra capace di vincere in Inghilterra, una squadra che praticamente non perdeva mai. Perse la finale, contro una squadra più modesta. Perché in questa storia la classe conta poco.
E poi c’è Sparwasser, esattamente 20 anni dopo. E la Germania dell’Est che vince in un mondiale in casa della Germania Ovest, che vinse tutte le altre partite e trionfò nella competizione. Ma quel giorno ad Amburgo era un derby tra due nazioni divise anche fisicamente da un muro. Erano due ideologie contrapposte. Ed era l’Est, all’unico mondiale della propria storia, che batteva l’Ovest, la squadra che vinceva sempre. Era un appuntamento col destino, e la gente la ricordò per tanti anni. Quando anche l’autore del gol della storia lasciò la Germania Est, scavalcando il muro, si narra che un funzionario dello stato comunista appresa la notizia esclamò: “Anche lui no!”. Bastano 90 minuti, ed un gol, a non essere uno dei tanti che scappano per la disperazione.
Ma gli anni ’90 non esulano da questo contesto. Cambiano i protagonisti, cambia il mondo, ma il calcio si intreccia con la storia. Nel ’90 tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa successe qualcosa che non era mai successo prima. Perché il calcio ereditò la guerra, e una rivalità extrasportiva, incorporandola nel proprio tessuto. Gli scontri sugli spalti erano la continuazione di una guerra mai finita tra Serbia e Croazia. Il tutto dopo pochi giorni dalle elezioni croate, con le due tifoserie che in sostanza erano due eserciti contrapposti. E la partita si giocò solo sugli spalti. In quello che, se vogliamo, è un antipasto di quanto successo ieri sera.
Nel ’98 invece l’Iran ha avuto l’onore di battere gli Stati Uniti d’America. Sul rettangolo verde, ai mondiali francesi. Ma fu festa. I calciatori iraniani ebbero l’ordine di non andare a stringere la mano agli americani, come da cerimoniale, perché i due paesi erano in guerra. Ma, senza il petrolio di mezzo, furono i calciatori degli USA a muoversi per rendere onore agli avversari. Ci fu fair-play, e nessuno scontro. Vinse l’Iran, e fu festa. Durante la festa alcune donne tolsero il velo, in segno di protesta verso il regime, rimasto ancorato nel tempo con il mondo che si muoveva troppo velocemente. Più di un gol agli Stati Uniti.
E poi ci sono i nostri anni. Quando sembra quasi che la guerra non ci tocchi più, nell’illusione di un mondo ordinato e in pace. Ma poi scopri che in Egitto durante una partita di calcio, nel post primavera araba, si ammazzano 70 persone. Non una partita di calcio, ma la prosecuzione degli scontri di piazza tra i Fratelli Musulmani e i sostenitori del regime, all’epoca già caduto. Una guerriglia, che con il calcio ha troppo poco a che vedere.
Il viaggio nel tempo ci ha condotti a ieri sera, a Serbia-Albania. Ad un drone pilotato forse dal fratello del premier albanese, al Kosovo e ad una situazione poco chiara. Il drone, abbattuto da un calciatore serbo, ha scatenato una guerra in campo, e ha fatto sospendere la partita. Da lì è stata una caccia all’uomo, o meglio: all’albanese. Ma dietro ci sono stupri di massa delle donne albanesi, i serbi costretti a fuggire dal Kosovo e l’ultima grande guerra dei balcani. Che non è mai finita e che continua sul campo da calcio. Teatro di Storia.