Parlavano di “Mondiale dei Mondiali”. Alla fine della fiera è stato emesso un verdetto differente: è il Mondiale degli umiliati. È stata una competizione sorprendente sotto tutti i punti di vista e il campo prima o poi – come sempre – sentenzia tutti.
Hanno demolito la Spagna campione di tutto: una squadra troppo sicura di sé, leziosa, monotona ed inevitabilmente inginocchiata di fronte ad un gioco rapido e concreto come quello dell’Olanda e del Cile.
Hanno demolito l’Inghilterra. Ma questa non è una novità. Hanno inventato un gioco che perdono sempre. Hanno un campionato bellissimo. Il più bello. Eppure in Nazionale non rendono, “nonostante un’ossatura prevalentemente presente in Premier League”. E qui siano concesse le virgolette, da sbattere in faccia a chi sostiene che la nostra Nazionale non possa prescindere dal conservare i propri talenti in Serie A. E non è un caso se l’unico a salvarsi in Brasile, tra i nostri, sia stato Verratti. Che gioca nel PSG, in Francia. Ma questo è un altro discorso e ci sarà tempo per approfondirlo.
Poi hanno demolito noi. Che tanto abbiamo “sfottuto” gli altri e poi abbiamo versato lacrime amare contro Costa Rica e Uruguay. Ma fa parte del gioco, lo sfottò sano rende bello questo sport. Ciò non toglie che restiamo tra gli “umiliati”. Questa spedizione ci renderà celebri per il mezzo tiro in porta messo a referto nelle ultime due gare contro due nazionali non proprio irresistibili.
E adesso hanno appena strapazzato bene e meglio il Brasile. E lo ha fatto la Germania. L’unica che – pur non vincendo sempre – ha la sua sana costanza. Ha la sua sana capacità di rimanere in alto e di finirci comunque tra le prime quattro. L’umiliazione più grande se l’è cucita il Brasile, dicevamo. Dopo il famoso Maracanazo del 1950, anche questa volta il Mondiale organizzato in casa ha portato solo lacrime e delusione. Scrivemmo – all’alba di questa competizione – di un Brasile morto. Bastava guardare la rosa e anche soli dieci minuti della prima con la Croazia per ottenerne ulteriore conferma. Una squadra scarica, aggrappata alle chiusure difensive di Thiago Silva e all’estro di Neymar. E anche alla fortuna, che fino ad ora ha contribuito pesantemente nel cammino della Seleçao (O Seleciao, come si divertono a scrivere tanti bravi colleghi tra cui il nostro Matteo Brancati). Hanno faticato ai gironi, ma sono arrivati primi. Hanno balbettato con il Cile. E la traversa di Pinilla ancora trema. Hanno quasi convinto con la Colombia, salvo poi perdere gli unici due pezzi realmente determinanti in questa Nazionale. E la fortuna ha anche smesso di girare. Arriva una, due, tre volte. Alla quarta volta le spalle e ti dice: “Adesso fai da solo”. Ma questo Brasile da solo non ha saputo camminare. È andato in bambola per centosettanta secondi e si è ritrovato sul groppone altri tre gol dopo l’apertura di Muller. Tutti in fotocopia. Tutti maledettamente veloci per una difesa che sembrava aver davanti l’x20 di My Sky.
Il fiato sul collo dei brasiliani delusi, il peso della partita in casa e le gambe tremanti hanno fatto il resto.
Davanti avevano una Germania organizzata, solida e pronta ad interpretare alla perfezione un 4-2-3-1 meraviglioso. Sono i tipici organici che si muovono in perfetta sintonia, fanno sempre la stessa cosa, ma non sai mai come fermarli. E nel Mondiale degli umiliati, l’amara sorte è toccata anche ai padroni di casa. È morto ‘O Brasil. Ma lo sapevamo già.