Sono passati 11 lunghissimi anni dalla finale di Champions League all’Old Trafford di Manchester. Il tifoso rossonero non dimenticherà mai quel 28 maggio 2003, quella sesta Coppa Campioni alzata al cielo dall’eterno capitan Maldini, quarant’anni esatti dopo che papà Cesare sollevò la prima vinta a Wembley. Sembrerebbe un racconto di Hollywood, ma è la storia del calcio italiano.
Passeranno agli annali le finali contro Steaua e Barcellona terminate 4-0, ma quella Champions League vinta contro la Juventus ha un sapore particolare. Se provate a chiedere ad un tifoso rossonero qual’è stato il trionfo più bello in Europa vi risponderà ‘la finale di Manchester‘. Potete scommetterci.
La notte dell’Old Trafford è stata la rivincita di Ancelotti su una tifoseria a tinte bianconere che lo aveva apostrofato come maiale, sulla dirigenza bianconera che lo aveva cacciato due anni prima e su quanti lo avevano etichettato come un perdente di successo. Per Carletto, fresco di Decima col Real, fu la prima da allenatore del Milan, dopo le due vinte da giocatore nell’era Sacchi. Nessuno come lui.
Ma l’immagine di quella Champions League è lo sguardo ipnotico di Shevchenko che scruta Buffon e attende il fischio dell’arbitro Markus Merk. Sono gli occhi di un ragazzino di Kiev impaziente di voler scrivere il suo nome nella storia del Milan e della Champions League. Sono gli occhi di un allievo del colonnello Lobanovskyi, freddo, sicuro, pronto a spedire la palla in fondo al sacco. Sono gli occhi di un cannoniere infallibile, consapevole che mancano 11 metri per trasformare in realtà il sogno di tanti rossoneri.
Palla da una parte e Buffon dall’altra: per una notte l’Old Trafford diventa il Teatro dei Sogni Rossoneri.