Tutti i tifosi romani, che siano giallorossi o biancocelesti, ricordano benissimo il 26 maggio del 2013. Quel giorno, nonostante in palio vi fossero “solo” la Coppa Italia e la qualificazione all’Europa League, era destinato fin dal principio a rimanere nella storia delle stracittadine romane e del calcio italiano.
Il gol di Lulic al 71′ di una partita noiosa e con poche occasioni decise la sfida tra quelle che in fondo erano le due grandi deluse della Serie A: la Roma, che concluse la stagione al sesto posto, lontanissima da dove le aspettative iniziali dello Zeman bis (interrotto in itinere con l’avvento in panchina di Andreazzoli) facevano sperare, e la Lazio, finita invece settima, nonostante un girone d’andata sorprendente sotto la guida di Petkovic. La gloria, quel giorno, fu tutta biancoceleste; gli sfottò, di lì a qualche mese, tutti per i giallorossi.
Eppure quella partita ha cambiato la storia delle due squadre in un modo assolutamente inimmaginabile nel momento in cui Stefano Mauri sollevava la coppa nazionale. La stagione successiva, quella scorsa, ha consegnato alla storia del campionato una Lazio inappetente, svogliata, appagata. I risultati negativi conseguiti per tutta la prima parte della stagione, a cominciare dal 4-0 subito in Supercoppa dalla Juve di Conte, in complicità con un pre-accordo tra Petkovic e la federazione svizzera, costrinsero Lotito a esonerare l’allenatore bosniaco e a chiedere a Edy Reja di salvare la Lazio e la sua faccia. In casa Roma, invece, la rivoluzione estiva nata dall’addio di Franco Baldini e dalle idee coraggiose di Sabatini e Pallotta, ha dato il là ad un nuovo ciclo che tutt’oggi sembra destinato a lasciare il segno. Un mercato finanziato da cessioni illustri portò in dote un manipolo di giocatori scafati e pronti a battagliare su ogni campo della Serie A. L’esempio più fulgido Maicon, il colosso brasiliano, acquistato dal ds giallorosso per soddisfare una piazza affamata di campioni e di successi. L’ha confidato più volte, Sabatini: se quel 26 maggio la Roma non avesse perso il derby, l’acquisto per la fascia destra sarebbe stato Wallace, giovane brasiliano passato poi senza lasciar traccia dall’Inter di Mazzarri. Un cambio radicale di strategia, insomma, che ha modificato totalmente il volto di una squadra storicamente discontinua e non avvezza a sopportare le grandi tensioni.
L’artefice numero uno di questo nuovo capitolo della storia giallorossa è senza dubbio Rudi Garcia, che senza quella sconfitta non sarebbe forse mai arrivato nella città eterna. Il tecnico francese, fortemente voluto dal ds, dopo essere riuscito a conquistare in pochi minuti James Pallotta nel loro primo incontro a New York, ci ha messo pochissimo anche ad entrare nelle grazie del popolo giallorosso: le dieci vittorie di fila, la fermezza con la società sul mercato, il suo atteggiamento spavaldamente equilibrato di fronte alla stampa l’hanno pian piano reso “uno di noi” per i tifosi della Roma, come lo stesso tecnico ammise nel post partita del derby vinto appena quattro mesi dopo quella finale.
In seguito a quella gara, la Lazio ha perso un anno a cullarsi sugli allori. La Roma, invece, è diventata la migliore squadra italiana insieme alla Juventus, è tornata in Coppa dei Campioni e ha iniziato ad accaparrarsi le simpatie dei grandi fuoriclasse che prima di qualche mese fa non avrebbero mai pensato di indossare la maglia giallorossa. Benedetto fu quel 26 maggio: ha fatto nascere una nuova Roma, una squadra talentuosa e di carattere, che ha saputo riscattarsi e si è riconquistata l’affetto dei suoi tifosi, anche e soprattutto perché “non saper rimediare ad una sconfitta è peggiore della sconfitta stessa“.
E ai laziali, pronti da quel giorno a sostenere sempre che “non c’è rivincita“, forse inizia a fare un po’ paura il derby di quest’anno previsto per la penultima giornata di campionato. Perché il tempo, si sa, è un imprevedibile gentiluomo.