“Lo sport del doping. Chi lo subisce, chi lo combatte” è il titolo del libro scritto da Alessandro Donati nel 2012, facendo seguito a “Campioni senza valore” uscito nel 1989, ma scomparso da tante librerie per il suo intento di denuncia.
Ad anni e decenni di distanza piomba come un fulmine a ciel sereno la dichiarazione di David Howman, direttore generale della Wada, la World Antidoping Agency: “Il doping si sta trasformando in un problema di salute pubblica“.
Ha proseguito Howman: “Un numero sempre crescente di persone sta prendendo sostanze per migliorare le proprie prestazioni sportive senza nemmeno capire ciò che stanno facendo. Mentre i test per gli atleti d’elité sono rigorosi, altri atleti – soprattutto bambini – stanno mettendo in pericolo la loro salute attraverso il doping. Troppe persone stanno assumendo sostanze che non conoscono nemmeno“.
La gravità non risiede tanto nella scelta cosciente di un adulto, un amatore che mal interpreta il senso dello sport come benessere, esasperandone l’aspetto agonistico. Sono gravi piuttosto i coinvolgimenti dei bambini e dei giovani che dovrebbero affrontare l’attività ludico-sportiva proprio come l’ho appena definita: come un gioco, un divertimento che vada al di là del risultato.
Soltanto così potrà migliorare la società. Ma l’esempio deve partire dai professionisti che il più delle volte incentivano e sponsorizzano prodotti utili per raggiungere traguardi senza allenarsi molto.
Lo sport richiede sacrificio. E il doping è una scorciatoia. Con le scorciatoie si arriva primi, ma non si va lontano. Alla lunga chi bara si scopre. Sempre.