Quella appena consegnata agli archivi verrà probabilmente ricordata come una delle edizioni dell’All-Star Saturday di maggior successo, considerando i diversi momenti significativi che hanno costellato la serata: si è infatti assistito allo storico trionfo di Karl-Anthony Towns nello Skills Challenge, primo lungo a vincere la gara solitamente riservata alle guardie; allo scontro fratricida tra gli Splash Brothers nella gara del tiro da tre, dove Klay Thompson è infine prevalso sul compagno Steph Curry; a quella che, già ora, può essere ricordata come una delle gare delle schiacciate più entusiasmanti di sempre, basata sull’epico duello tra Zach LaVine ed Aaron Gordon. Ma andiamo con ordine.
L’evento inaugurale, il già citato Skills Challenge, già ai nastri di partenza presenta una sostanziale differenza rispetto agli anni precedenti: oltre alla solita rappresentanza di giocatori da backcourt, composta da Emmanuel Mudiay (Nuggets), Jordan Clarkson (Lakers), CJ McCollum (Trail Blazers) e Isaiah Thomas (Celtics), i restanti partecipanti sono infatti quattro big men, ovvero sia Draymond Green (Warriors), Anthony Davis (Pelicans), Karl-Anthony Towns (Timberwolves) e DeMarcus Cousins (Kings). Una vera e propria rivoluzione.
Nel primo turno avvengono quattro sfide tra pari-ruolo che vedono prevalere McCollum, Thomas, Towns e Cousins su, rispettivamente, Clarkson, Mudiay, Green e Davis. Gli accoppiamenti delle semifinali sono quindi McCollum – Thomas e Towns – Cousins: sia il playmaker di Boston che il rookie di Minnesota superano agevolmente i loro avversari, approdando pertanto alla finale. Qui accade l’inverosimile: nonostante i chili e i centimetri in più, Towns riesce a restare al passo con Thomas ad ogni prova; i due giungono appaiati al tiro da tre finale, il quale viene infine siglato dal centro di T-Wolves al quarto tentativo. Il prodotto di Kentucky viene celebrato da tutti gli altri lunghi che hanno preso parte alla manifestazione, mentre a bordo campo Curry e Kyle Lowry rimangono a bocca aperta per questo clamoroso upset. Un centro vincitore dello Skills Challenge: è proprio vero, non è più l’NBA dei nostri padri…
Prima dell’atteso 3-Point Contest, divertente siparietto tra Draymond Green e il comico Kevin Hart: i due si sfidano in un testa a testa da tre punti dal quale l’ala degli Warriors, che termina il proprio turno a quota 12, dovrebbe emergere come il naturale vincitore; il suo avversario va però ad un passo dalla clamorosa vittoria, rendendosi protagonista di un’incredibile rimonta che si concretizza nel pareggio messo a segno all’ultimo secondo. La gag termina con la consegna a Green di un’enorme coppa – alta in effetti quanto Hart stesso – con la sua effigie sopra: tifosi e giocatori a bordo campo in delirio, ancora una volta l’NBA dimostra di poter offrire intrattenimento senza sforzarsi neanche troppo.
Arriva quindi il momento della gara del tiro da tre punti, cui prende parte un cast d’eccezione: oltre ai due Warriors Curry e Thompson ci sono infatti James Harden (Rockets), Devin Booker (Suns) J.J. Redick (Clippers), CJ McCollum (Trail Blazers), Khris Middleton (Bucks) e il padrone di casa Kyle Lowry (Raptors). Il primo round riserva però un delusione per quest’ultimo, eliminato dalla contesa con un punteggio di 15: peggio di lui fanno però sia Middleton che McCollum, autori di prove scialbe da 13 e 14 punti. Mentre Curry (21) e Thompson (22) avanzano direttamente in finale, i tre concorrenti rimasti – Harden, Redick e Booker – sono costretti ad uno spareggio di 30 secondi in quanto hanno tutti totalizzato 20 punti: sorprendentemente (ma non troppo) ad emergere è il rookie di Phoenix, che raggiunge così gli Splash Brothers per l’atto conclusivo. È proprio lui a dare inizio alla finale con un rivedibile 16, frutto di un avvio negativo compensato in parte dalla buona percentuale nell’ultimo carrello, quello con i palloni che valgono doppio (3/5); segue Curry, che nelle prime fasi sembra un automa (7/7 per iniziare) prima di chiudere con 23; non troppo impressionato dalla prestazione del compagno di squadra, Thompson appare determinato a vincere e, grazie ad un carrello finale perfetto, sigla un incredibile 27 e si laurea campione dell’edizione 2016 del 3-Point Contest. Per lui 19 canestri su 25 tentativi, tra i quali spiccano indubbiamente gli ultimi 8 infilati consecutivamente: per la prima volta nella storia due giocatori della medesima franchigia trionfano nel tiro da tra punti in due stagioni di fila.
Si passa infine alla portata principale dell’All-Star Saturday, ossia il leggendario Slam Dunk Contest. Dopo la fenomenale prova dello scorso anno, il campione in carica Zach LaVine (Timberwolves) deve vedersela contro atleti di assoluta caratura come Will Barton (Nuggets), Aaron Gordon (Magic) e Andre Drummond (Pistons). Anche la giuria tenuta a giudicare le schiacciate non è proprio di infimo livello, per così dire: vi trovano infatti spazio leggende del calibro di George Gervin, Tracy McGrady, Dikembe Mutombo, Shaquille O’Neal ed Earvin “Magic” Johnson.
Il primo turno si conclude con un solo 50: LaVine fa rimbalzare la palla davanti a sé, la raccoglie in volo, la fa passare dietro la schiena e conclude all’indietro ad una mano; seguono Gordon a 45, Barton a 44 e Drummond a 36. Nel secondo round si inizia a fare sul serio sin da subito. Nel tentativo disperato di rimontare posizioni, Drummond recluta tra il pubblico un aiutante d’eccellenza, Steve Nash. Il canadese intercetta una palla coi piedi ed inizia a sfoderare una serie di palleggi che farebbe impallidire tanti giocatori di Serie A (di calcio, s’intende!): dopo diversi tentativi non concretizzati, l’ex di Suns, Mavs e Lakers riesce ad alzare un alley-oop con una strepitosa bicicleta, che Drummond conclude con una windmill. Sebbene si tratti di un’assoluta novità, perdipiù di una bellezza unica, la giuria non va però oltre un misero 39. Dopo di lui Barton riesce a fare di peggio, tentando un’improbabile 360° alla Vince Carter: alla terza schiacciata fallita deve accontentarsi di 30, ovvero sia il minimo sindacale. A risollevare gli animi ci pensa Gordon, che posiziona la mascotte di Orlando su un roll-e, gadget che sta riscuotendo sempre maggior successo in giro per il mondo, la salta, fa passare la palla tra le gambe e schiaccia: non viene assegnato un 50 solo perché O’Neal, per motivi misteriosi, sfodera un 9. Subito dopo, Lavine raccoglie l’alley-oop di Andre Miller saltando all’altezza della linea del tiro libero: Shaq, severo ma giusto, opta anche stavolta per il 9, negando anche alla guardia di Minnesota un meritato 50.
Una volta approdati in finale, sia Gordon che LaVine trovano comunque la maniera di rifarsi. I due si sfidano senza esclusione di colpi a suon di schiacciate da 50: se il primo sfrutta nuovamente la mascotte sul roll-e (stavolta addirittuta in rotazione) raccogliendo al volo e schiacciando in 360°, il secondo fa rimbalzare la palla, la fa passare tra le gambe e conclude a canestro sempre in 360°; quando l’uno fa passare la sfera sotto entrambe le gambe, rimanendo sospeso in aria come se fosse seduto su una sedia invisibile, l’altro stacca ancora una volta dalla linea dei liberi effettuando una tremenda windmill. Si va così inevitabilmente allo spareggio, frutto di quattro 50, con gli altri giocatori che a bordo campo impazziscono sempre di più per lo spettacolo in corso. Tuttavia il “supplementare” non è sufficiente a decretare un vincitore, dato che sia la windmill di Gordon – su assist di Elfrid Payton contro lo spigolo del tabellone – che la schiacciata di LaVine partita da dietro il canestro meritano entrambe 50. Rimasto a corto d’idee, il giocatore dei Magic si esibisce in una potente up & under, totalizzando però “solamente” 47. L’ex Ucla invece non ha ancora finito gli assi nella propria manica, cosicché salta nuovamente da distanza siderale, si passa la palla tra le gambe e fa esplodere un’ultima volta l’Air Canada Center: ancora 50 e seconda affermazione di fila allo Slam Dunk Contest, impresa riuscita in passato solo a schiacciatori del calibro di Micheal Jordan (1987-88), Jason Richardson (2002-03) e Nate Robinson (2009-10).