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Mi sono innamorato del Boca Juniors per un motivo semplice: Juan Roman Riquelme. E perché sono convinto che se esiste un Dio del calcio da qualche parte del mondo ha un occhio di riguardo per la squadra “Xeneize”. In realtà è un vecchio detto, che circola ormai da anni: Dio tifa Boca. E non sapremo mai se è vero. Ciò che è certo è che Tevez tifa Boca. E non è proprio la stessa cosa, chiaro.

E sta per finire, tra una giornata piovosa torinese e l’inizio dell’inverno cileno nel quale si gioca la Copa America, l’avventura di Carlos Tevez alla Juventus. Una storia durata due anni, ma talmente intensa da significare molto di più di due stagioni e qualche trofeo. Sarebbe potuta, e dovuta, finire con la vittoria di Berlino. Ma nella notte più importante Carlos non c’è. Non è decisivo, diventa quasi un fantasma. Marcato benissimo da quel Mascherano con il quale condivise una parte di carriera e l’arrivo in Europa, al West Ham, oltre 10 anni fa. Ma quella tra Tevez e la Juventus è stata una storia bellissima. Arrivato a Torino con l’etichetta del calciatore sfasciaspogliatoio e in sovrappeso, Tevez ha conquistato tutti. Ha vissuto forse i due anni migliori della propria carriera europea, dimostrando di essere un calciatore che probabilmente avrebbe anche potuto vincere qualcosina in più in passato, a livello personale. E pensare oggi al pallone d’oro non è un’eresia. Lascerà Torino con una Supercoppa Italiana, due scudetti e una Coppa Italia in più. E ventinove gol in una stagione, l’ultima, non li faceva dal primo anno al Manchester City.

In Argentina Tevez è soprannominato “il calciatore del popolo”. Quello che non piace ai commissari tecnici, spesso, ma che se fanno un sondaggio tra la gente viene sempre considerato titolare. Un calciatore radicato nel territorio quanto (e probabilmente anche di più) di Leo Messi. Sarà per quelle magliette che hanno portato in giro per l’Europa l’altra Buenos Aires, quella di cui non si deve parlare sui giornali. Da Fuerte Apache in poi. Da dove partì il sogno di Tevez. Il calciatore che poi ha fatto sognare anche la Juventus.

Ad oggi rinunciare a Tevez non è facile. Anzi, è dura. Non è facile nemmeno capire se questa assenza, che ormai sembra certa, sarà decisiva e fondamentale o Marotta sarà talmente bravo da non farla pesare mai. Tevez va via con un pizzico di amarezza per quella vittoria mancata all’ultimo, dopo aver fatto brillare gli occhi ai tifosi juventini come non accadeva da tempo. Per l’attaccamento, le giocate, i gol partendo da 50 metri, e i recuperi palla sulla propria trequarti difensiva. Per esser stato ancora una volta il calciatore del popolo.

Ma la Juve sappia perdonare Tevez. Che va a riprendersi un pezzo di cuore lasciato a Buenos Aires oltre 10 anni fa. Il suo Boca. La squadra che come dicono in Argentina è tifata da “la mitad más uno del país” (la metà più uno del paese). Quell’uno in più oltre la metà è Tevez. Ah, e poi c’è Dio che tifa Boca. Juve, perdonalo.