Gigi Buffon, “il muro”. Lilian Thuram, “l’animale”. Fabio Cannavaro, “il pitbull”. Patrick Vieira, “il leader”. Pavel Nedved, “la macchina”.
Questi sono 5/11 della top 11 di Zlatan Ibrahimovic, la squadra con cui Ibra andrebbe in battaglia dopo ormai tanti anni di carriera alle spalle. Ci sono anche il magico Iniesta, il perfetto Xavi, l’elegante Maxwell, il completo Thiago Silva e il genio Messi. Tutti aggettivi scelti da lui, che alla fine completa la squadra con sé e si autodefinisce “Dio”. Ma sappiamo che l’umiltà non è mai stata il suo punto forte…
La sincerità sì però: Ibra è uno che non ha mai avuto peli sulla lingua e ha sempre detto ciò che c’era da dire anche se scomodo o non convenzionale. Non ha mai avuto problemi o paura – ma per lui nemmeno esiste la paura – a difendere per esempio Luciano Moggi. E non è stato il solo a rivendicare come suoi e vinti sul campo quegli scudetti, seme della discordia non solo tra juventini e interisti ma anche argomento di discussione che ahinoi si protrarrà ancora per chissà quanto tempo sui giornali e nei salotti televisivi. E lo ha fatto nonostante poi, ironia della sorte, quello scudetto se lo sia comunque cucito sul petto ma con la maglia sbagliata.
Ma cosa c’entrano Moggi, calciopoli e gli scudetti con una top 11? Più di quanto possiate immaginare. Questa è solo l’ultima testimonianza di come per moltissimi addetti ai lavori, non ci sia stato e tuttora non ci sia alcun dubbio sull’effettiva paternità di quegli scudetti, vinti da una squadra sul campo e revocati da un tribunale dopo una sentenza sportiva alquanto approssimativa.
Solo chi ha giocato e ha sudato per uno scudetto o una coppa, può infatti capire come siano andate davvero le cose: ed è curioso come le perplessità, i “vinciamo senza rubare” e dichiarazioni fuori luogo provengano solo da una parte: quella presunta danneggiata che però poi si è scoperto essersi comportata allo stesso modo se non peggio delle società dichiarate colpevoli. Ma colpevoli di cosa? Di un mal costume? Forse. Di parlare troppo con gli arbitri? Perché se si sta su questo piano, allora i rapporti “incriminati” li tenevano tutti, non soltanto Moggi e Giraudo.
Obiezione: e allora perché vinceva solo la Juve? Innanzitutto, prendendo in esame soltanto gli anni dal 2000 in poi, lo scudetto l’hanno vinto tutte le grandi (tranne l’Inter); in secondo luogo, chi vinceva lo faceva perché evidentemente più forte. E a dirlo, oggi indirettamente ma in passato anche senza bisogno di stilare una top 11, è anche Ibra, protagonista di quelle vittorie e che nella sua squadra ideale mette 5 giocatori che in teoria dovrebbero essere “scarsi” e vincenti solo grazie ad un fantomatico sistema che li favoriva. Che dire allora della potenza di questo sistema? Era forse operante, potente e attivo anche al di fuori dell’Italia, visto che al Mondiale del 2006 in finale arrivarono 8/11 di quella Juventus?
Un sistema che avrebbe tentato di attuare una frode sportiva, ma senza riuscirci: e a dirlo è la sentenza del tribunale di Napoli dell’8 novembre 2012: “Il dibattimento in verità non ha dato conferma del procurato effetto di alterazione del risultato finale del campionato 2004-2005 a beneficio di questo o quel contendente”, mentre è bene ricordare che la stagione successiva non è stata oggetto di indagini. Quindi per giudicare Moggi colpevole è bastato il tentativo: un presupposto che se applicato anche agli altri soggetti intercettati, dei quali le intercettazioni non sono venute fuori durante la fase dibattimentale, basterebbe per dichiarare colpevoli anche tali soggetti e di riflesso le società. Solo che è intervenuta la prescrizione. Ma, leggendo ancora le motivazioni, emerge che “non può essere trascurata la parzialità con la quale sono state vagliate le vicende del campionato 2004/2005, per correre dietro soltanto ai misfatti di Moggi”. Sentenza che conferma anche il fatto che i sorteggi arbitrali non fossero stati truccati all’epoca: “Che il sorteggio non sia stato truccato, così come hanno sostenuto le difese, è emerso in modo molto chiaro durante il dibattimento”. Peccato che questa sentenza sia arrivata anni dopo quella sportiva, che frettolosamente emise condanne sommarie: c’era un campionato da far partire. Ma chissà cosa sarebbe successo se i giudici avessero avuto a disposizione tutte le telefonate…
Una cosa è certa, e non lo dicono solo i tifosi della Juve: quella era una grandissima squadra, la migliore del campionato. E forse quegli scudetti non ritorneranno mai a casa, forse saranno per sempre oggetto di una contesa e di una battaglia che ci auguriamo rimanga sempre e solo dialettica e verbale.
Ma una cosa è certa: i protagonisti, cioè i giocatori che li hanno vinti, gli allenatori, la gente di campo (oltre che tanti avversari, c’è da ammetterlo) non perdono occasione per ricordare quanto quella squadra fosse forte e abbia meritato per manifesta superiorità quei titoli.
Sarebbe bello se un giorno, anche lontano, pure gli sconfitti deponessero le armi ammettendo semplicemente che in quegli anni c’era qualcuno più bravo di loro: sarebbe un passo decisivo verso il cambiamento di una cultura sportiva che tende troppo spesso a creare alibi e cercare scuse quando si perde piuttosto che fermarsi, battere le mani e fare i complimenti agli avversari.