Toronto Raptors: 8
Stagione di portata storica per l’unica franchigia canadese presente nella NBA, capace di stabilire il miglior record della propria storia per il secondo anno consecutivo (ben 56 vittorie dopo le 49 del 2014/2015). Pur privi a lungo del nuovo innesto DeMarre Carroll, limitato dagli infortuni a sole 26 presenze, i Raptors per lunghi tratti hanno persino conteso la testa di serie numero 1 ai favoritissimi Cleveland Cavaliers, dovendosi infine “accontentare” del secondo piazzamento: le premesse per approdare al secondo turno dei Playoffs per la prima volta dal 2001/2002 ci sono tutte, Paul George permettendo.
Boston Celtics: 8
Il capolavoro di coach Brad Stevens, maestro nell’esaltare un gruppo profondo ma altresì ricco di personaggi improbabili come Olynyk, Turner, Smart, Sullinger e lo stesso Isaiah Thomas, giocatore destinato a giocarsi il riconoscimento di Most Improved Player con CJ McCollum dei Portland Trail Blazers. Il parquet casalingo del TD Garden è stato a lungo alla base dei loro successi, aspetto che potrebbe valorizzarsi ulteriormente nella post-season. Qualunque sia l’esito della stagione, Boston ha comunque un futuro radioso davanti a sé, avendo addirittura la chance di mettere le mani sulla prima scelta assoluta del prossimo Draft (15,6% di possibilità).
Brooklyn Nets: 4
La stagione appena terminata rischia di diventare una triste abitudine per la seconda squadra della Grande Mela, attesa negli anni a venire da tempi tutt’altro che semplici, complice la gestione scellerata delle scelte al – o meglio, ai – Draft verificatasi con l’avvento di Michail Prochorov. Dalla cessione in estate di Deron Williams all’infortunio che ha messo fuori gioco Jarrett Jack, per finire infine al taglio del mega-contratto di Joe Johnson, l’annata dei Nets non ha fatto altro che andare di male in peggio, rendendo vane le buone prestazioni di Brook Lopez e Thaddeus Young, troppo soli in un mare di mediocrità: emblematico il saldo delle vittorie (-17) rispetto al 2014/2015.
Philadelphia 76ers: 3
Ish Smith, Robert Covington, Jerami Grant, Hollis Thompson, Nik Stauskas, TJ McConnell e Isaiah Canaan: questi i nomi non dei giocatori di contorno del roster di Philadelphia, bensì di quelli con almeno 20 minuti di impiego medio a partita, cui vanno aggiunti i “leader” Nerlens Noel e Jahlil Okafor. Non sorprende dunque che i 76ers abbiano fatto registrare il terzo peggior record (10-72) dell’intera storia NBA, con una sola vittoria in più rispetto ai primatisti di questa particolare classifica (sempre i 76ers nel 1972/1973). Lo sbarco in America di Dario Saric e il debutto (?) di Joel Embiid dovrebbero far ben sperare per il futuro, sempre che la nuova dirigenza sappia giocare bene le proprie carte a disposizione (trade per Noel o per Okafor?).
New York Knicks: 4,5
Se la stagione dei Nets è stata un vero disastro, nemmeno dall’altro lato dell’East River si fanno i salti di gioia: i Knicks hanno infatti mancato l’accesso ai Playoffs per la terza annata di fila, sebbene l’incoraggiante inizio di regular season avesse fatto sperare in un esito ben diverso. L’exploit del rookie Kristaps Porzingis, di fatto, non ha compensato l’annata negativa di soggetti come Calderon o Afflalo, nonché il modesto impatto di Robin Lopez. Se si aggiungono a queste problematiche un Carmelo Anthony in fase calante e il cambio d’allenatore Fisher-Rambis, orchestrato peraltro da un Phil Jackson possibile partente, il quadro che ne esce non è dei più rassicuranti.
Cleveland Cavaliers: 8,5
Il passaggio del testimone tra David Blatt e Tyronn Lue ha senz’altro rappresentato lo snodo fondamentale della stagione dei Cavs, che da quel momento hanno sì difeso con successo la prima posizione della Eastern Conference – migliorando inoltre le vittorie conseguite lo scorso anno da 53 a 57 – apparendo però poco brillanti in diverse uscite, come accadeva del resto anche nel 2014/2015. Al di là di ciò, Cleveland rimane naturalmente la favorita numero uno ad Est per l’approdo alle Finals, visto e considerato tra le altre cose il loro record casalingo (33-8), il migliore dell’intera Conference.
Chicago Bulls: 5
Una delle delusioni maggiori – se non LA delusione – di quest’anno, non giustificabile in toto dai tanti infortuni patiti dal roster e dall’arrivo del nuovo allenatore, Fred Hoiberg. La fusione tra il nucleo storico (Rose, Noah, Gibson) e le nuove leve (McDermott, Mirotic, Snell, lo stesso Butler in versione go-to-guy) non è avvenuta affatto, mentre il veterano Pau Gasol non può più essere l’ancora alla quale aggrapparsi nei momenti di maggior bisogno. Il primo mancato accesso alla post-season dal 2008 servirà come lezione a questi Bulls ancora alla ricerca della propria identità, il cui roster perlopiù giovane sembra comunque in grado di rifarsi già a partire dal 2016/2017.
Milwaukee Bucks: 4.5
Anche la truppa di coach Jason Kidd ha tradito le (alte) aspettative di inizio stagione, partendo col piede sbagliato e non riuscendo mai a risollevarsi dai bassifondi dell’Est. Il giovanissimo nucleo che avrebbe dovuto puntare a migliorare il 6° piazzamento dello scorso anno ha rivelato in pieno tutte le proprie lacune: un reparto lunghi quantomeno da rivedere, tra un Greg Monroe altalenante e un John Henson quasi mai consistente; la mancanza di tiratori da tre affidabili escluso Kris Middleton, come dimostrato dagli scarni risultati dei due migliori Bucks della stagione, Giannis Antetokounmpo e Jabari Parker. Proprio le accresciute responsabilità del greco in materia di playmaking, inoltre, potrebbero spingere Milwaukee a mettere sul mercato dopo una sola stagione Michael Carter-Williams, non certo positivo nella sua breve esperienza in Wisconsin: perché il loro progetto possa ripartire nel migliore dei modi, i Bucks devono valutare attentamente il da farsi.
Indiana Pacers: 7
Missione compiuta per Paul George e compagni, che si sono assicurati la testa di serie numero 7 in una stranamente ultracompetitiva Eastern Conference. Obiettivo non così semplice sulla carta, se è vero che alla palla a due iniziale aleggiava più di un dubbio riguardante le effettive possibilità di un gruppo interamente votato allo small ball (Monta Ellis, George Hill, Rodney Stuckey, George impiegato da 4, l’arrivo in stagione in corso di Ty Lawson) di giungere ai Playoffs. Tuttavia i Pacers sono riusciti a far ricredere i loro detrattori, grazie anche all’inaspettato apporto di lunghi quali Ian Mahinmi, Lavoy Allen e del sorprendente rookie Myler Turner.
Detroit Pistons: 7
Il ritorno ai Playoffs dopo 8 anni di assenza non può che rendere felici i supporters della franchigia del Michigan, attesa da un confronto durissimo al primo turno con i Cavs di LeBron James. L’operato di Stan Van Gundy ha finalmente dato i suoi frutti, gettando le basi per una crescita importante già dalle prossime stagioni: Jackson, Drummond, Caldwell-Pope, Harris, Marcus Morris e Stanley Johnson possono infatti essere l’ossatura attorno alla quale imbastire qualcosa di importante dopo tanti, troppo anni di anonimato.
Atlanta Hawks: 7.5
Non saranno state le 60 vittorie dello straordinario 2014/2015, ma i 48 successi conquistati quest’anno dagli Hawks fotografano un’altra stagione più che positiva per la squadra della Georgia, specialmente per quanto fatto intravedere dall’All-Star Break in avanti. Il dualismo tra Jeff Teague e Dennis Schroder, così come la partenza di DeMarre Carroll e il calo di Kyle Korver, hanno frenato per alcuni mesi le prestazioni di Atlanta, che può però contare su un Paul Millsap sempre più completo e sul gioco di squadra inculcato da coach Budenholzer: aspetti di un certo peso, soprattutto ai Playoffs.
Washington Wizards: 5
Un’altra compagine che non può essere assolutamente soddisfatta dall’esito della regular season è quella della capitale, reduce da un 5° posto nel 2014/2015 (46-36) ed oggi incapace di tenere il passo delle altre pretendenti alla post-season. I limiti del roster si sono palesati in tutta la loro gravità, in special modo per quanto concerne la panchina: se vi si aggiunge un Bradley Beal mai tornato al 100% a causa degli infortuni, i perché di una stagione da buttare non sono certo dei misteri. Col solo John Wall a risplendere Washington non ha certo compiuto dei passi in avanti per il vero obiettivo del 2016, ossia la caccia a Kevin Durant nella free agency.
Miami Heat: 7,5
A due anni di distanza dall’addio di LeBron James, la franchigia della South Florida si presenta ai nastri di partenza dei Playoffs con la testa di serie numero 3, benché conquistata con il medesimo record di Hawks, Celtics e Hornets: si tratta di un risultato frutto di una regular season decisamente anomala, contrassegnata dalla malattia di Chris Bosh, dalle iniziali difficoltà di Goran Dragic e dal ruolo ancora incerto, per quanto fondamentale, di Hassan Whiteside. Nonostante le difficoltà incontrate, gli Heat hanno però continuato a migliorarsi giorno dopo giorno trascinati da un intramontabile Dwyane Wade, cui hanno dato man forte altri due veterani del calibro di Joe Johnson e Luol Deng: non hanno sfigurato nemmeno le addizioni più giovani come Justise Winslow e Josh Richardson, portatori di freschezza in una squadra non più giovanissima.
Orlando Magic: 5,5
Il record di 35-47 con il quale i Magic hanno chiuso la propria stagione non è stato abbastanza per garantirsi l’entrata ai Playoffs, che ad Orlando mancano ormai dal 2011/2012. Non mancano però le ragioni per sorridere: le 25 vittorie dello scorso anno sono state decisamente migliorate, mantenendo peraltro inalterato il roster pieno zeppo di giovani promesse (Oladipo, Payton, Fournier, Gordon, Hezonja, Vucevic) eccezion fatta per Tobias Harris. Il 2016/2017 acquista così un’importanza significativa affinché il progetto di rinascita dei Magic possa considerarsi effettivamente in corso d’opera: altrimenti la terribile prospettiva della mediocrità NBA è dietro l’angolo.
Charlotte Hornets: 8
I Calabroni del North Carolina possono essere definiti ragionevolmente la vera sorpresa della stagione ad Est: il record di 48-34 (+15 vittorie rispetto all’annata precedente) li ha portati ad un passo da un incredibile terzo gradino della Eastern Conference, risultato al di là di ogni più roseo pronostico fatto ad ottobre. Lo straordinario gruppo che ha trovato in Kemba Walker il suo condottiero ideale ha saputo far fronte agli infortuni incontrati per strada, su tutti quelli di Michael Kidd-Gilchrist – solamente 7 gare disputate – e Al Jefferson (47 di cui solo 18 da titolare). L’incrocio con gli Heat è duro ma non insormontabile, così come quello con la vincente di Toronto – Indiana: a conti fatti, la strada che conduce alle Conference Finals potrebbe non essere così proibitiva.