Finals Nba 2014, Miami-Spurs: 92-111. San Antonio si riprende prepotentemente il fattore campo espugnando la Triple A Arena senza particolari patemi e dominando in tutto e per tutto sugli Heat, ridotti alle iniziative di un “jordaneggiante” LeBron James, autore di 22 punti. I primi 24’ di questa partita resteranno molto a lungo nella mente degli spettatori: gli Spurs sono andati oltre i 70 punti segnati, cosa accaduta solo nel 1988, quando i Lakers di Magic Johnson e dello showtime predicavano pallacanestro. Oggi i bianconeri di coach Pop hanno anche un eroe, facilmente individuabile in un mostruoso Kawhi Leonard. L’ala degli Spurs ha sicuramente qualche sassolino della scarpa e ricorda ancora i tiri liberi di gara-6 dell’anno scorso, quando dopo una clamorosa bomba di Parker i texani erano vicinissimi ad alzare il Larry O’Brien. Di certo stanotte Leonard si è fatto perdonare almeno in parte, limitando, per quanto sia possibile, James, e mettendo a referto una mostruosa prestazione offensiva da 29 punti, di cui 13 nel primo quarto e 16 nell’ultimo. Insomma, una prova a 360° nel vero senso della parola. Dall’altra parte un LeBron James che assomiglia sempre più a quel 23 a cui ha sempre amato paragonarsi, seppur mai direttamente. A volte dà la sensazione di essere immarcabile, ma gli manca forse quel tocco di poesia e onnipotenza per arrivare ai livelli di MJ. “The Goat” sembrava infermabile. Gli avversari non riuscivano più ad escogitare modi per fermarlo, i telecronisti per narrarne le gesta. Ci riuscì, probabilmente, solo Larry Bird con il suo “E’ dio travestito da Michael Jordan”. Ecco, al fantastico LeBron visto in questa serie e in questi playoff, manca quella sembianza di divinità assolutamente immarcabile che ancora non sembra avere. Perché l’aria condizionata dell’AT&T Center in gara-1 e Kawhi in gara-2 sono riusciti a limitarlo.
Parliamo invece della macchina Spurs: ogni anno, ad inizio stagione, si parla degli uomini di Popovich come una squadra ormai a corto di benzina, senza motivazione e destinata a non fare strada dopo anni di successi e titoli su titoli. A giugno poi, immancabilmente, stiamo a parlare di come siano sempre lì a giocarsi l’anello. Ad inizio decennio sembravano davvero finiti, con il prepotente ritorno della rivalità Lakers-Boston, gli OKC del nuovo fenomeno Kevin Durant e gli Heat dei big 3 a tarpargli le ali. Invece no, sono risorti. Con la classica genialità di sempre. Con un Kawhi Leonard, futura All-Star, scelto alla quindicesima, e un Danny Green ripescato dall’Olimpia Lubjana (!!), a fare da contorno agli intramontabili 3: Parker, Duncan e Ginobili. Quest’ultimo domina da quindici anni ormai. Da Reggio Calabria a San Antonio cambia ben poco: poesia in movimento. In questa macchina perfetta c’è anche un pezzo di tricolore: Marco Belinelli, esempio di sacrificio, umiltà e, perché no, talento. Insomma, la reincarnazione dei valori Spurs. Un ragazzo partito da San Giovanni in Persiceto, criticato per anni addirittura dai suoi compatrioti, che si sta prendendo le sue rivincite con gli interessi. C’è anche la sua firma in questa vittoria, dato che durante i tentativi di rimonta degli Heat ha messo la fondamentale bomba del +10. Spaziature e timing da manuale, percentuali altissime e mai un tiro forzato. Esprimono indubbiamente la miglior pallacanestro della lega. E, dopo stasera, sono davvero i favoriti della serie. 71 nei primi 24’, 92-111 alla fine. Si resta in Florida per gara-4, poi si vola in Texas, ancora una volta. Ne vedremo delle belle.