Michael Jordan

Il mito, la leggenda, per alcuni l’incarnazione stessa del basket: Micheal Jeffrey Jordan compie quest’oggi cinquantatre anni, costellati per lunghi tratti da imprese memorabili che sono ormai entrate nell’immaginario collettivo di milioni di appassionati NBA (e non solo) sparsi in tutto il mondo. Come tributare dunque il giusto omaggio ad uno dei campioni più celebrati di ogni epoca? Ecco una raccolta delle sue citazioni più belle e conosciute, che rappresentano esse stesse la grandezza di His Airness.

Ci sono momenti, quando sei stanco o non stai bene, in cui comincia una battaglia con te stesso. Devi solo scavare più profondamente possibile e scoprire quali motivazioni hai davvero, quali erano le tue ambizioni originali. È una ricerca nell’anima: è facile dire “ho dato il massimo” oppure “sono stanco o malato, ora qualcun altro deve fare anche la mia parte” e sentirsi a posto con la coscienza. Non è il mio approccio, e qualsiasi cosa accada, so di dover provvedere alla squadra con ogni più piccola goccia di energia.

Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.

Ci sono molte squadre, in ogni sport, che hanno grandi giocatori ma non vincono mai titoli. La maggior parte delle volte quei giocatori non sono disposti a sacrificarsi per il bene della squadra. La cosa divertente è che, alla fine, la scarsa disponibilità al sacrificio rende più difficile raggiungere gli obiettivi personali. È mia convinzione profonda che se si pensa e si ha successo come una squadra, i riconoscimenti individuali verranno da sé. Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere un campionato.

Non importa quanta energia spendi per arrivare in fondo a una partita decisiva; quello che conta è ciò che ti rimane in corpo per vincerla.

Posso accettare la sconfitta, tutti falliscono in qualcosa. Ma non posso accettare di rinunciare a provarci.

Saper difendere è una chiave essenziale del mio gioco. Dopo una certa età non puoi far conto soltanto sulla tua prestanza, ma devi saperti gestire e usare il cervello specie sotto al tuo canestro.

Non ho mai badato alle conseguenze dello sbagliare un tiro importante. Perché? Perché, quando pensi alle conseguenze pensi sempre ad un risultato negativo.

A Chicago ero spesso la colonna portante, quello che faceva la voce grossa in squadra e forse, a volte, anche un po’ un egoista. Ma alla fine vincevamo noi. Ricordo un aneddoto. Coach Tex Winter [storico assistente di Phil Jackson, N.d.R], dopo che segnai 24 punti consecutivi, mi apostrofa così: “Ehi Mike, non esiste l’Io in uno sport di squadra”. Gli dissi: “Ma io ho appena vinto”.

[Dopo il rientro dal secondo ritiro] Torno per amore di questo sport. Perché non m’importa di rovinare l’immagine di quanto ho fatto finora, perché quello che ho vinto non me lo può togliere nessuno. Torno per insegnare ai giovani che mi circondano quello che serve per diventare vincenti. Non devo dimostrare niente a nessuno. Quando sento che la gente fa la fila per venire a vedermi, mi carico e mi esalto. Sento che le gambe stanno tornando. Sento che posso essere quello che ero. Solo con qualche anno in più.

Infine, le ultime battute del celeberrimo discorso da lui pronunciato in occasione della propria induzione nella Basketball Hall of Fame nel 2009:

Un giorno potreste vedermi giocare una partita all’età di cinquant’anni. Oh, non dovete ridere. Mai dire mai: perché i limiti, come le paure, spesso sono soltanto un’illusione.