Dopo 20 anni costellati di trionfi e momenti bui è infine giunta al termine la straordinaria carriera NBA di Kobe Bryant: 20 anni trascorsi interamente con la maglia gialloviola dei Los Angeles Lakers, franchigia che lo accolto appena 18enne in uscita dalla Lower Marion High School e lo lascia ora come un’icona della pallacanestro globale, universalmente considerato – a tenersi larghi – come uno dei 10 giocatori più forti di ogni epoca. Tributiamo quindi il dovuto omaggio al Black Mamba con una raccolta delle sue frasi più celebri e significative, le quali gli hanno fatto guadagnare tanti estimatori quanti detrattori. E tu da che parte stai?
È vero, a volte dico ciò che penso perché gioco ogni gara come se fosse l’ultima ed è frustrante vedere gli altri che non la pensano così. Se la squadra ha bisogno è necessario stringere i denti, anche con qualche infortunio.
I giocatori europei sono molto più tecnici degli americani, in Europa insegnano a giocare a pallacanestro sin da piccoli, hanno più tecnica. È qualcosa che qui in America dobbiamo sistemare, dobbiamo insegnare ai più piccoli a giocare. Qui si insegna un basket ridicolo, i fondamentali vengono trascurati, per questo abbiamo giocatori come i fratelli Gasol e gli Spurs hanno il 90% del roster composto da giocatori europei. Se non fossi cresciuto in Italia non avrei imparato a palleggiare, a tirare con la sinistra e ad avere un corretto movimento dei piedi. Mentre ero in Italia ho avuto la fortuna di assistere ai clinic di Red Auerbach e Tex Winters. Io, Manu ed altri nati in quegli anni siamo stato figli di quelli insegnamenti. Gli allenatori Americani dovrebbero insegnare i fondamentali ai bambini e non trattarli come “vacche da soldi” traendone profitti.
Quando ci siamo incontrati per la prima volta ero solo un ragazzino. Alcuni di voi mi hanno adottato, altri no. Ma tutti avete contribuito a farmi diventare il giocatore e l’uomo che avete davanti oggi. Mi avete dato la fiducia necessaria per fare buon uso della mia rabbia. I vostri dubbi mi hanno dato la determinazione a dimostrarvi che vi sbagliavate. Siete stati testimoni della trasformazione delle mie paure nella mia forza. E il vostro rifiuto mi ha insegnato il coraggio. Sia che mi vediate come l’eroe o come il cattivo, sappiate che ci ho messo ogni emozione, ogni briciolo di passione, e tutto me stesso nell’essere un Laker. Quello che avete fatto per me è di gran lunga più grande di quello che ho fatto io per voi. Sapevo che avrei indossato i colori dei Lakers in ogni minuto di ogni partita. Lo onorerò oggi e per tutto il resto della stagione. Il mio amore per questa città, per questa squadra e per ciascuno di voi non svanirà mai.
Ricordo quando a Philadelphia giocavo da solo nei playground, senza sapere in quale squadra sarei andato. Sognavo Magic Johnson, il mio idolo da quando avevo sei anni. Avevo fame di futuro, oggi invece comincio a pensare in termini di quanti anni mi sono rimasti.
Non importa quanto segni. Quello che conta è uscire dal campo felice.
Sono praticamente inarrestabile. Quando la partita si mette male, i miei compagni sanno a chi rivolgersi.
[Nel 2007] Tentavo 45 tiri a partita. Cosa avrei dovuto fare? Passarla a Chris Mihm e Kwame Brown?
L’ultima volta che mi sono sentito intimidito avevo 6 anni ed ero ad un corso di karate. Ero cintura arancione e l’istruttore mi ordinò di affrontare una cintura nera più grande di me di un paio d’anni e molto più grosso. Ero spaventato a morte. Insomma, ero terrorizzato e lui mi distrusse. Ma poi mi resi conto che non mi aveva demolito in maniera così netta come mi sarei aspettato e che quindi non c’era nulla di cui avere paura. Fu in quel momento che capii che l’intimidazione non esiste realmente se hai il giusto stato d’animo.
È meglio imparare a non provocarmi. Se agiti un albero, ne cade un leopardo.
Gli amici vanno e vengono, ma gli stendardi delle vittorie rimangono appesi per sempre.